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LE NUOVE FRONTIERE DEL VINO: GLI STATI UNITI

di Cristian 25/11/2020
di Cristian 25/11/2020
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Se si pensa agli Stati Uniti, di sicuro la viticoltura non è la prima cosa che viene in mente; il vino statunitense solo nelle ultime decadi è assurto alla ribalta delle cronache enoiche grazie alla svolta qualitativa che i vignaioli hanno saputo dare ai loro prodotti.

A dire il vero la vite in America esisteva già prima dell’arrivo dei primi coloni; era però la variante selvatica, chiamata vitis labrusca (rampicante), dalla quale inizialmente i coloni cercarono di ottenere vino, ma ahimè, senza successo.

Il risultato della vinificazione della vitis labrusca era molto diverso dai vini a cui erano abituati in Europa, e non piacque per via di un sapore “di selvatico” tipico di questa varietà.

LA STORIA DEL VINO IN AMERICA

In quel periodo, era la costa orientale del continente quella in cui si riversarono i coloni, e fu anche quella in cui si tentò di piantare la vite europea (vitis vinifera); questi tentativi furono annientati da quel minuscolo insetto che anni e anni dopo sarebbe sbarcato in Europa devastando circa il 90% dei vigneti europei: la fillossera. Al contrario della vite americana, quelle europee non avevano generato un sistema che le difendesse dal temibile insetto, e vennero decimate in pochi anni.

Gli scarsi risultati della vitis labrusca e la fillossera furono due fattori che messi assieme causarono un drastico ridimensionamento della viticoltura; i vignaioli convertirono i loro terreni ed iniziarono a coltivare qualcosa che desse risultati migliori e soprattutto fosse più remunerativo.

Qualche secolo dopo, nel 1831, Jean-Louis Vignes (un nome, un destino!), vignaiolo bordolese, sbarcò nel Nuovo Mondo e sul versante occidentale piantò alcune barbatelle di vite europea, inconsapevole degli insuccessi dell’altro versante continentale.

Qui, incredibilmente, la vitis vinifera attecchì ed il vignaiolo francese poté finalmente iniziare una produzione di vino che fosse degna di tale nome.

Il contesto storico e geografico poi aiutarono senz’altro questo pioniere della viticoltura californiana; di lì a qualche anno la corsa all’oro spostò nella costa ovest degli Stati Uniti migliaia di persone, al punto che la sola città di Los Angeles, che al tempo in cui arrivò il francese contava poco più di 700 abitanti, si ritrovò con più di 300 mila avventurieri sbarcati in cerca di fortuna.

Aumento della popolazione significò aumento dei consumi di vino, grazie ai quali sorsero numerose aziende vitivinicole che iniziarono la loro attività, diventando sempre più fiorente di anno in anno.

Tutto filò liscio fino al 1919, quando con il diciottesimo emendamento il governo istituì il famigerato proibizionismo, attraverso il quale veniva vietata la produzione ed il commercio di qualsiasi bevanda alcolica il cui utilizzo non fosse medico o liturgico.

Fu un colpo durissimo per la viticoltura d’oltreoceano e durò per quasi quattordici anni. Anche dopo la fine del proibizionismo, la produzione, il commercio ed il consumo di vino non ripartirono immediatamente, e ci vollero molti anni per scrollarsi di dosso il retaggio di un periodo così nefasto per la viticoltura americana.

Ma la storia ha sempre le sue rivincite, ed anche il vino statunitense ha avuto la sua.

Il vero e definitivo slancio della produzione enologica negli Stati Uniti, in particolare della California, iniziò intorno ai primi anni del 1970, quando i vignaioli cominciarono a puntare sulla qualità dei loro vini, affacciandosi, dapprima timidamente e poi sempre meno, nel mercato americano ed internazionale.

Il punto più alto lo raggiunsero ad un concorso tenutosi a Parigi nel 1976, in cui una cantina della Napa Valley (Montelena Winery) con i suoi vini riuscì sorprendentemente a vincere dopo una degustazione alla cieca a cui partecipavano le migliori cantine francesi.

Montelena Winery

Proprio da questo concorso è stato tratto il film Bottle Shock (titolo italiano: «Napa Valley – La grande annata»), diretto da Randall Miller ed interpretato da Alan Rickman, Chris Pine e Bill Pullman; il film racconta la storia della cantina Montelena della Napa Valley e del percorso per arrivare alla partecipazione ed alla incredibile vittoria al concorso di Parigi (se vuoi scoprire questo ed altri film legati al vino, clicca qui).

Il vino californiano iniziò così ad essere famoso e richiesto alle degustazioni, nonché inserito nelle carte dei migliori ristoranti del mondo.

I VITIGNI

Già, ma cosa si coltiva negli Stati Uniti? Qual è la varietà più utilizzata?

Anche in questo caso vi è una sostanziale differenza tra l’ovest e l’est del Paese.

Partendo dall’assunto che vino americano vuol dire perlopiù vino californiano, è dunque il versante occidentale quello più vocato, con Sonoma e Napa Valley tra le aree più famose.

Qui sono i vitigni cosiddetti internazionali a farla da padroni, con il rosso Cabernet Sauvignon a dettare legge; seguono poi il Merlot, il Syrah (localmente chiamato Shiraz), il Pinot Nero ed il semi-autoctono Zinfandel, che nient’altro è che il nostrano Primitivo, sbarcato in America secoli orsono, come ben ci racconta Attilio Scienza nel suo libro La stirpe del vino.

Tra i bianchi quello più coltivato è lo Chardonnay, seguito da Riesling, Pinot Grigio e Gewürztraminer.

La costa orientale invece vede un consistente utilizzo di vitigni autoctoni, frutto di ibridazioni tra la vitis labrusca e la vinifera: si sente spesso parlare di varietà come la Concord, il Baco Noir e la Catawba (rosse), e Niagara, Seyval Blanc, Vidal Blanc e Vignoles tra le bianche, con le ultime due utilizzate per i famosi “ice wines“, i vini di ghiaccio.

Tra le bacche internazionali, troviamo un vigneto allevato perlopiù con varietà bianche, come lo Chardonnay, il Gewürztraminer e il Riesling, e tra quelle nere il sempre presente Cabernet Sauvignon affiancato dal Merlot.

LE ZONE DI PRODUZIONE

Come dicevamo poc’anzi, è la California lo Stato che dal punto di vista enoico ed eno-turistico è il più importante, coprendo da sola circa il 70% della produzione nazionale.

Napa Valley e Sonoma sono i centri nevralgici della produzione di vino; in queste due aree, poste a nord di San Francisco, sono distribuite la maggior parte delle cantine e dei vigneti, grazie ad una posizione strategica, vicina all’oceano e protetta dalle montagne.

Le gemelle della West Coast sono la vetrina dei vini californiani; favorite da un mosaico di terroir, le due zone si suddividono in un numero ineguagliabile di denominazioni. Se Napa beneficia di una maggiore notorietà, Sonoma affascina per il suo perfezionismo.

Sono queste le due regioni elettive dello Zinfandel, che viene coltivato e prodotto dalla maggior parte delle wineries.

Poco più a nord della California troviamo altri due stati emergenti nel panorama enoico nazionale ed internazionale: Oregon e lo Stato di Washington, ai confini con il Canada.

L’Oregon è la Borgogna delle nuove frontiere del vino; le estati meno calde di quelle californiane e gli inverni meno freddi di quelli dello Stato di Washington offrono le condizioni ideali per sublimare il Pinot Nero.

La produzione è diventata significativa dal 1960, e questo Stato offre la miglior qualità di tutto il Paese.

Negli ultimi anni lo Stato di Washington, supportato dall’entusiasmo del settore, è diventato il secondo produttore del Paese. Tra il 2000 ed il 2009 il numero delle cantine produttrici è aumentato di sei volte.

I terreni vitati sono divisi in due dalla catena montuosa delle Cascades, che da Vancouver corre fino alla California. Le montagne bloccano le nuvole in arrivo dall’oceano rendendo necessaria l’irrigazione sul versante orientale dello Stato.

Ci spostiamo verso la costa est per andare a trovare lo Stato di New York, il più prolifico produttore della East Coast.

Con una produzione destinata al mercato interno, la regione è nota per il suo atipico impianto di vitigni composto da un 70% di varietà ibride americane, tra cui il Concord ed il Niagara. Mentre la costa occidentale gode di un clima simile a quello mediterraneo, quella orientale è connotata da inverni rigidi, simili a quelli dell’Europa centrale, dell’Alsazia e della Germania, per questo i vignaioli locali hanno optato per vitigni aromatici come il Riesling ed il Gewürztraminer.

A dirla tutta sono i cinquanta Stati del continente americano a produrre vino, solo che molti acquistano le uve da quelli più produttivi, dal momento che la legge statunitense in materia enologica lo concede.

È un mondo nuovo per noi europei, quello americano, per lo meno dal punto di vista enoico; siamo così concentrati sul nostro territorio che spesso ci si dimentica delle altre nazioni che producono vino, con una qualità pressoché identica alla nostra europea.

Nel 2020 è finalmente arrivato il momento di conoscerle, le nuove frontiere del vino, consapevoli che sarà un viaggio stupendo ed affascinante!

LETTURE CONSIGLIATE:
  • Le carte del vino. Atlante dei vigneti del mondo di  Jules Gaubert-Turpin
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