Prendiamo in prestito il nome di una famosa serie tv per dare a questo articolo un titolo volutamente provocatorio, essendo i cosiddetti orange wines tutt’altro che nuovi, ma il risultato di una nuova tendenza che li ha portati ultimamente alle luci della ribalta.
Sì perché i vini “aranciati”, dal colore ambrato quasi opalescente e talvolta leggermente torbidi, sono l’eredità di una tradizione antica, italiana ma non solo, che negli ultimi anni è stata rispolverata da alcuni temerari vignaioli con tante soddisfazioni e qualche sporadica ombra.
Partiamo dalla tradizione, perché è nel passato che questo metodo affonda le sue radici.
Cosa sono gli Orange Wines
Innanzitutto c’è da dire che quelli che ora chiamiamo orange wines sono vini secchi (non dolci!), risultato di una lunga macerazione sulle bucce, sistema tipicamente utilizzato per i vini rossi ed in questo caso traslato sui bianchi.
La macerazione sulle bucce ha la funzione di estrarre dalla buccia dell’acino quelle sostanze polifenoliche, come i tannini e gli antociani, responsabili rispettivamente di astringenza e colorazione.
Si tratta di una tecnica antica, con gli anni caduta in disuso per dare spazio al giallo paglierino caratteristico dei vini bianchi degli ultimi decenni; un cambio di registro dettato in modo consistente dal mercato, che segue i cambiamenti dei gusti dei consumatori, diventato più incline ai bianchi “puliti”, netti, talvolta così estremizzati da risultare incolore.
Gli Orange Wines oggi
Come spesso succede, dunque, nel corso degli anni la tradizione viene surclassata e dimenticata, ed anche nel caso degli orange wines si è potuto assistere a questo cambio di paradigma. Non più vini bianchi dorati e dai profumi intensi ma giallo paglierino e dai sentori più delicati ed aromatici.
Un tempo, quando non si andava troppo per il sottile, i vini erano vinificati pressoché nello stesso modo, bianchi o rossi che fossero: macerazioni più o meno lunghe e affinamento in botti di legno, attività naturalmente dettate dalla necessità e dai mezzi e conoscenze allora a disposizione.
Gli anni, il progresso tecnologico in cantina, le maggiori conoscenze scientifiche in campo enologico ed il mercato hanno, in un certo senso, decretato la fine degli orange wines, e con essi tutta quella vasta serie di sfumature che li caratterizzavano.
Si deve poi fare una doverosa parentesi linguistica, perché spesso si parla di vini orange e macerati come se fossero la stessa cosa: se tecnicamente possono essere accomunati, è nella pratica che dimostrano alcune sostanziali differenze.
La durata della macerazione a contatto con le bucce, la presenza di ossigeno durante la macerazione e la propensione, o meno, di una varietà a lunghe macerazioni sono tre fattori che creano condizioni particolari e che a tutti gli effetti differenziano un orange wine da un bianco macerato.
Va da sé che ci si può tranquillamente trovare di fronte ad un vino bianco macerato o un orange wine e capire che non sono lo stessa cosa, sia per i differenti colori, profumi e sapori che li contraddistinguono e li pongono su piani sensoriali diversi.
Nuove regole, vecchie tradizioni e Josko Gravner
Dopo anni – decenni – in cui abbiamo assistito al progressivo successo di vini bianchi sempre più brillanti, limpidi, in cui le bucce venivano divise dal mosto appena dopo la pressatura dell’uva, una nuova tendenza partita dal nord-est del Paese e guidata da un manipolo di produttori, ha scombussolato tutto e ridefinito i contorni di un nuovo modello.
Uno dei fondatori di questa filosofia è il friulano Josko Gravner, mostro sacro della vitivinicoltura mondiale, non solo italiana; se negli anni Ottanta era stato uno dei primi a introdurre in Italia tecniche d’avanguardia, era stato poi anche fra i primi ad abbandonarle, lasciando perdere acciaio e barrique e puntando su una nuova forma di sperimentazione, quella legata all’antica tecnica georgiana di produrre il vino in grandi anfore di argilla rivestite di cera d’api e poi interrate fino al collo.
La tecnica di vinificazione utilizzata da Gravner all’interno delle anfore era, ed è tuttora, quella della lunga macerazione sulle bucce, metodo ancestrale già in uso presso i popoli caucasici millenni orsono insieme alle botti in terracotta.
Un binomio – quello tra gli orange wines e le anfore – che non deve però essere considerato inscindibile, dal momento che tanto gli orange quanto i bianchi macerati possono essere vinificati anche in altri contenitori, come botti di legno (usato), vasche di acciaio o di cemento.
Orange wines e vini naturali
Il metodo di Josko Gravner ha trovato negli anni sempre più vignaioli pronti a seguirlo, così come nella filosofia naturale ha trovato una valida spalla grazie alle affinità con i principi che di base vengono seguiti dai produttori di orange wines. Si possono citare, ad esempio, la tendenza comune a far partire la fermentazione spontaneamente ed un minor impiego di solforosa per preservare il vino; due pratiche poco invasive riscontrabili in entrambi i metodi.
Naturale ed orange sono quindi due filosofie che viaggiano spesso a stretto contatto ma non sovrapponibili né identificabili l’una nell’altra, visto che orange wine non è sinonimo di vino naturale. È pur vero che molti produttori di orange wines rifiutano l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi, di pratiche enologiche invasive e prediligono le fermentazioni spontanee, ma questi non sono dei prerequisiti necessari per produrre questa tipologia di vini.
Quando ci si trova davanti ad un’etichetta di un orange wine, si deve tenere in conto che quello che si ha di fronte non è un vino banale; è un vino bianco con le caratteristiche tipiche dei vini rossi, che deve essere servito non troppo freddo per non trasformarlo in un vino banale, che deve essere abbinato con molta cura e che, talvolta, è meglio scaraffare un paio di ore prima per permettergli una adeguata ossigenazione.
In ultimo, gli orange sono vini che reggono bene un notevole invecchiamento in bottiglia, pertanto li si può lasciare in cantina qualche anno senza timore che si danneggino con il tempo.
Ecco spiegato dunque il perché del titolo, Orange is the new…old wine. Si tratta di un modo nuovo e pressoché sconosciuto dai consumatori contemporanei di intendere il vino bianco, andando a ripescare un metodo che risale a moltissimi anni fa.
Una filosofia alternativa, un nuovo paradigma dedicato ai curiosi che mai si conformano agli standard e che cercano sempre nuove strade con entusiasmo e senza preconcetti.
LETTURE CONSIGLIATE:
- Amber Revolution: How the world learned to love orange wine di Simon J. Woolf
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