Domenica 17 e Lunedì 18 Novembre si è tenuta a Sestri Levante (GE) TWR – The Wine Revolution, la rivoluzione del vino, entusiasmando e stregando sia addetti ai lavori che appassionati di vino come noi, ma anche tanti turisti e sestresi che vi hanno partecipato, incuriositi da così tante ed interessanti novità enoiche e non solo.
L’ex Convento dell’Annunziata è stato il teatro in cui vini naturali, biologici e da agricoltura biodinamica sono stati i veri protagonisti di questa “rivoluzione”, che negli ultimi anni sta cambiando il modo di fare e di intendere il vino. Una nuova generazione di vignaioli ne è alla guida, per i quali il legame con la tradizione non è più vincolo, ma un punto di partenza per evolversi.
L’evento, giunto alla terza edizione, ha visto la presenza di molte cantine da tutta Italia, due spagnole (dalla Catalunya, per l’esattezza) ed una corsa, a testimonianza che il vento del cambiamento sta colpendo molte regioni d’Europa.

Il nostro primo approccio al vino naturale è avvenuto grazie ad una degustazione guidata da Matteo Gallello, uno dei massimi esperti in Italia di questa tipologia di vini. Da quella degustazione ne è nata un’intervista (clicca qui per leggerla), spinti come eravamo – e siamo tuttora – dalla curiosità di conoscere più approfonditamente questo mondo in rapida evoluzione.
I vini naturali, dunque, ma anche biologici e da agricoltura biodinamica sono stati il mezzo attraverso cui si sta cercando di diffondere una cultura orientata al rispetto della natura, con particolare attenzione ai suoi ritmi ed al suo “modus operandi”.
Sì, perché la natura non ha bisogno dei nostri diserbanti o dei nostri pesticidi per difendersi. E a dire il vero neppure noi, che queste sostanze alla fine le ingeriamo indirettamente ed inconsapevolmente.
Questa rivoluzione si basa sul concetto di simbiosi tra l’uomo ed il sistema natura, dove l’essere umano è una parte di esso, e non il fulcro su cui tutto ruota. L’uomo quindi non interviene più massivamente per modificare, ma segue e contribuisce affinché tutti i componenti della vigna agiscano autonomamente per difendersi dalle avversità, come parassiti e funghi, per esempio.

Ed è così che in vigna si usano solo rame e zolfo, mentre per tutto il resto ci pensa la natura, che se può contare su un terreno sano da cui trarre le sostanze utili e su una biodiversità che garantisce la prosperità di flora e fauna utile per la difesa, è perfettamente autosufficiente.
E se in vigna gli interventi sono ridotti al minimo, in cantina non è diverso, con i solfiti ben al di sotto delle quantità permesse, e la quasi completa assenza di filtrazioni e chiarifiche. Certo, forse il vino non è brillante come l’oro di Fort Knox né trasparente come il mare in Sardegna, ma è proprio questo il suo fascino; l’autenticità che si ritrova nel bicchiere è il solo ed unico risultato di quello che l’uva riesce a dare dopo una vinificazione in cui l’uomo ha fatto solo lo stretto necessario.
TWR è stata una manifestazione gioiosa, dove abbiamo avuto modo di vivere di persona questa “nuova via”, in cui anche i vignaioli con 1 ettaro di terreno possano far sentire la propria voce. Vignaioli perlopiù giovani, trentenni che hanno lasciato la comfort zone cittadina per diventare agricoltori, e per farlo hanno scelto il modo meno invasivo possibile, convinti e consapevoli di come questo sia il modo più smart per interagire con la natura.
Il nostro vinovagare all’interno del salone dell’ex convento dell’Annunziata ci ha portato a conoscere aziende piccole, giovani e interessanti tutte unite dal comune denominatore del vino naturale.
Abbiamo così conosciuto Pasquale della cantina Malopasso, giovane viticoltore che insieme alla sua compagna Floriana ha lasciato la città per stabilirsi in campagna, alle pendici dell’Etna, nel paese di Zafferana Etnea. Qui gestisce due ettari di vigna coltivata ad alberello intramezzata da alberi da frutto, dove il Nerello Mascalese la fa da padrone in coabitazione con altre varietà autoctone della zona, come il Grecanico dorato, la Minnella bianca e nera, la zu Matteo e la Bracaù. Produce tre vini DOC, Etna Bianco, Etna Rosato ed Etna Rosso, naturali tanto in vigna quanto in cantina, con fermentazione spontanea e senza chiarifica; ne escono tre vini caratteriali, spontanei, veri, con una nota di acidità e mineralità dovuta ai terreni dell’Etna ed alla vicinanza con il mare.
Sempre in Sicilia abbiamo trovato Manlio Manganaro, il “vigneron pendolare” che si divide tra la sua enoteca a Pavia – l’Infernot – e l’ettaro di vigna vicino a Marsala dove coltiva e vinifica il Grillo, varietà autoctona presente soprattutto nel marsalese. Il Manliovino (nome ufficioso in quanto l’etichetta non riporta nomi, solo un grappolo di Grillo stilizzato) è un vino giunto alla terza vendemmia, ed in assaggio al TWR c’erano la 2017 e 2018. Vino “eclettico” come il suo produttore, in cui ad una pigiatura soffice fatta come si faceva una volta, vale a dire rigorosamente con i piedi, segue una vinificazione studiata ad hoc da Manlio e che calza a pennello col Grillo; il risultato è sorprendente, il 2018 ha un colore è giallo dorato intenso, profumi di frutta fresca e un sapore equilibrato tra acidità e corpo, segno di una non comune vocazione all’invecchiamento, che infatti viene fuori nel 2017, dove il corpo è più maturo e ti lascia ancora la sensazione di un ulteriore miglioramento negli anni a venire.
Un po’ più a sud e con una striscia di mare in mezzo troviamo l’Abbazia San Giorgio, la cantina di Battista Belvisi e Beppe Fontana a Pantelleria. Tre ettari e mezzo di vigneto allevati a Zibibbo, Pignatello, Carignano e Nerello Mascalese. La cantina si basa su un sistema misto biologico-biodinamico, senza concimazioni, né chimiche né organiche, con la fermentazione spontanea dovuta ai soli lieviti indigeni e niente solfiti aggiunti né filtrazione. I vini dell’Abbazia San Giorgio sono dunque vini “spontanei”, un po’ torbidi ma dai profumi e sapori accattivanti. L’Orange, vino orange da uve Zibibbo; il Cloè, vino rosato da Nerello Mascalese; il Lustro, vino bianco dal Cataratto; il Rosso Garofalo da Nerello Mascalese; il Passito Magico da uve Zibibbo, sono vini anche e soprattutto identitari di un’isola non semplice dal punto di vista vitivinicolo ma fonte di grandi soddisfazioni.
Ci siamo spostati dai banchetti della Sicilia per andare in Toscana, sulle colline lucchesi, e per la precisione a Gragnano dalla Tenuta Lenzini. Qui Michele e Benedetta hanno iniziato nel 2007 la loro avventura che negli anni è diventata un progetto basato sull’agricoltura biodinamica, dove viene data la giusta attenzione anche al terreno in cui le viti sono piantate. Ventiquattro ettari coltivati a Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah ed Alicante Bouschet, seguendo la filosofia secondo la quale l’impatto dell’uomo deve essere pari a zero o poco più. Al TWR erano presenti i vini rossi e li abbiamo degustato tutti: sincero e beverino il Casa e Chiesa (100% Merlot); variegato e fresco il Poggio de’ Paoli (blend di Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Syrah e Alicante Bouschet); aromatico, intenso e con un bel finale persistente La Sirah, il nostro preferito.
Sempre in Toscana abbiamo conosciuto Francesca dell’azienda Vitae, 30 ettari di cui 7 vitati e 2 a uliveto in località Campogialli in provincia di Arezzo. Tutti i terreni di Vitae sono gestiti in regime di agricoltura biologica, decisione presa da Francesca per preservare il territorio dove sorgono le vigne ed allo stesso tempo dare espressività ai suoi vini. I tre vini prodotti – tutti biologici – il Chianti DOCG Ati, il Toscana Rosso IGT Ago ed il Toscana bianco IGT Ade erano in degustazione e noi non ci siamo di certo fatti pregare per assaggiarli: Ati è un Chianti fatto con Sangiovese, Colorino e Canaiolo, le tre varietà tradizionali della denominazione e che in questo caso danno un vino pulito, con una buona acidità ed un corpo bilanciato; Ago è ottenuto da sangiovese, piccole quantità di altri autoctoni a bacca rossa e trebbiano (10% circa) che insieme risultano in perfetto equilibrio, con una nota leggermente minerale e sapida; il bianco Ade è un Trebbiano della varietà Biancame in purezza, dove l’acidità dona una buona freschezza a questo vino tipico della Toscana.
Ci spostiamo all’estero, in Catalunya, per trovare e conoscere Celler La Gutina, la cantina di Barbara e Joan Carles; italiana lei e catalano lui, hanno ereditato nel 2006 quella che un tempo era una fattoria e da subito hanno deciso di rivalorizzarla piantando le viti che nel corso degli anni erano via via scomparse. Ottanta ettari di terreno situato intorno ai 100 m slm, tutti coltivati in regime biologico, dove, anche in questo caso, l’intervento dell’uomo è ridotto allo stretto necessario, visto che per il resto ci pensa madre natura. I vini che abbiamo assaggiato sono stati: la Sureda, vino rosato da uva Garnacha negra (la Garnacha nient’altro è che il Cannonau sardo); S’Agapo, vino bianco ottenuto da Garnacha roja e Garnacha negra; il Demontre, vino rosso da Garnacha tinta; l’Idò, vino rosso da Garnacha tinta. I vini di La Gutina non contengono solfiti aggiunti, non sono chiarificati né filtrati, sono naturali al 100% e questa ben evidente caratteristica dei vini di Barbara e Joan Carles è piacevole e amabile così come lo sono loro.
Cambiamo banchetto e nazione e ci ritroviamo in Corsica, dai fratelli Julie e Mathieu Marfisi, proprietari della cantina Clos Marfisi, nel cuore della AOC Patrimonio, la più famosa dell’isola. Julie Marfisi rappresenta la quinta generazione di viticoltori, la prima donna a possedere cinque dei 12 ettari di famiglia a Patrimonio e nel 2011 vede la luce la sua prima produzione, che chiama “Cuvée Julie”. Il fratello Mathieu, invece, da subito si trasferisce a Parigi per lavorare come ingegnere finanziario, ma dopo qualche tempo dà le dimissioni per seguire una formazione specifica in enologia e poter raggiungere la sorella in Corsica. I vini di Julie e Mathieu sono naturali ed hanno tutti nella freschezza ed acidità il fil rouge che li accomuna, cha siano i bianchi ottenuti con il Vermentino o i rossi ottenuti con il Nielluccio (come viene chiamato il Sangiovese in Corsica).
Tra tutti questi assaggi la giornata è volata via, e noi torniamo a casa con la consapevolezza che l’impegno e le convinzioni di questi viticoltori siano la vera svolta per questa “rivoluzione”; un mondo contemporaneo del vino in cui i giovani non si limitano ad essere i consumatori, ma si posizionano anche dall’altro lato, coltivando e vinificando, promotori di una filosofia che non può far che bene, alla natura in primis, ma anche all’essere umano, che dalla natura è strettamente dipendente.