Il vitigno riscoperto di Torino: il Baratuciat
Nel cuore delle valli piemontesi, tra i paesaggi mozzafiato della Val Cenischia e della Val di Susa, si cela un tesoro vitivinicolo poco conosciuto ma di grande valore: il Baratuciat. Questo vitigno autoctono, piuttosto raro, è un’autentica gemma delle colline piemontesi, con una storia affascinante e un potenziale enologico che merita di essere esplorato.
Il nome insolito di questo vitigno sembra derivare dall’espressione dialettale “berla ‘d ciàt”, che in piemontese significa letteralmente “cacchetta di gatto”, termine pittoresco dovuto alla forma allungata delle sue bacche. Tuttavia, non lasciatevi ingannare da questa denominazione eccentrica e colorita, poiché il Baratuciat è tutto tranne che un vitigno comune.
Una varietà ricercata e studiata da ampelografi moderni, negli ultimi anni, che fanno seguito ad un “buco” di quasi un secolo e dove prima erano state fatte analisi dal Centro Ampelografico di Torino verso la fine dell’800, che certificarono la presenza di questo vitigno nella Bassa Val di Susa.
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Puoi scegliere tra l’adozione di un filare in Toscana (Chianti) o in Puglia (Salento). L’adozione del filare dura 12 mesi e può iniziare in qualsiasi momento. L’adottante riceverà:
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- il certificato di adozione e verrà apposta la targhetta in legno personalizzata sul filare;
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Si tratta di una varietà vigorosa e resistente alle avversità, che trova il suo habitat naturale nelle condizioni climatiche e geologiche uniche delle valli piemontesi. Il terroir ricco di minerali e l’altitudine moderata contribuiscono a conferire al Baratuciat una personalità distintiva e complessa, che si riflette nel vino che produce.
I vini ottenuti dal Baratuciat presentano un caratteristico colore giallo paglierino, che incanta già al primo sguardo. Al naso, rivelano delicati ed eleganti profumi di fiori bianchi, accompagnati da note sottili di frutta fresca. Con il passare del tempo, questi vini si arricchiscono di complessità, sviluppando sfumature minerali e una gamma di aromi che spaziano dall’ananas alla mela verde.
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Nonostante le sue qualità straordinarie, il Baratuciat rimane un vitigno poco diffuso e, di conseguenza, i suoi vini sono una vera rarità. Solo pochi produttori si dedicano alla sua coltivazione, e le versioni in purezza dei suoi vini sono ancor più rare. Tuttavia, la riscoperta di questo tesoro nascosto ha suscitato un nuovo interesse tra gli enologi e gli amanti del vino, che stanno esplorando le sue potenzialità attraverso sperimentazioni e innovazioni.
Una delle cantine che si è lanciata ad esplorare il Baratuciat è Vignaiole Prever, un’azienda tutta al femminile situata a Villarbasse, piccolo centro alle porte di Torino. La filosofia di Prever è improntata all’impatto zero, grazie ad un impianto fotovoltaico, e alla riscoperta dei vitigni dimenticati, come il Baratuciat appunto.
Questa è la loro etichetta di Baratuciat, che ho assaggiato al recente Salone del Vino di Torino. Innanzitutto l’etichetta, stampata appositamente con caratteri molto chiari, quasi indistinguibili, a sottolineare l’attuale situazione del vitigno a livello istituzionale (riconoscimento come vitigno coltivabile), quasi evanescente. Le sue caratteristiche organolettiche coincidono con quelle di un vino bianco di grande spessore, anche senza lunghe macerazioni, con profumi e sapori complessi e strutturati, ideale perfino per un lungo affinamento in bottiglia.
Il riconoscimento della tipologia Baratuciat in purezza per la DOC Valsusa è un passo importante verso la promozione e la diffusione di questo vitigno unico. Questo incoraggiante sviluppo apre la strada a un futuro luminoso per il Baratuciat, offrendo agli appassionati del vino l’opportunità di scoprire e apprezzare la ricchezza e la diversità delle tradizioni vitivinicole delle valli piemontesi.
Con la sua storia affascinante, il suo profilo aromatico distintivo e il suo potenziale enologico, il Baratuciat merita sicuramente di essere celebrato come uno dei tesori nascosti del mondo del vino italiano.
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