Iniziamo questa nuova rubrica dedicata ai distillati partendo da quello che probabilmente è il più famoso ed il più celebrato di tutti, il whisky.
Una storia pluricentenaria, che coinvolge varie nazioni e tantissime persone, pronte a correre dei rischi per produrre o consumare questa mitica bevanda.
Scopriamola insieme!
Cos’è il whisky
Il whisky è un distillato ottenuto dalla fermentazione e distillazione dei cereali. All’interno di questa definizione troviamo un’infinità di variabili, di diverse lavorazioni e concezioni, di ricette segrete, tutto inscindibilmente legato all’area geografica di provenienza di ogni whisky.
Le nazioni che oggi vantano la produzione dei whisky più amati e conosciuti dagli appassionati sono fondamentalmente cinque: le storiche Scozia e Irlanda, gli Stati Uniti, il Canada ed il Giappone, elevatosi a produttore di qualità “solamente” agli inizi del Novecento.
Al giorno d’oggi la prima differenza che si riscontra è la sua grafia, presente nelle due variabili note come whisky oppure whiskey. La pronuncia sostanzialmente non cambia e rappresenta il primo indizio in aiuto al consumatore per comprenderne l’origine: è scritto whisky se proviene dalla Scozia, dal Canada e dal Giappone, mentre si aggiunge la “e”, whiskey, se arriva dall’Irlanda e dagli Stati Uniti.
La storia del whisky affonda le sue radici in un passato così lontano che le notizie relative ai suoi natali risultano tutt’oggi incerte: una paternità contesa da molto tempo da Scozia e Irlanda senza un esito inequivocabile, a causa della mancanza di riferimenti scritti ufficiali.
La genesi della parola whisky risale all’antica lingua gaelica parlata nell’isola britannica già prima dell’arrivo dei Romani; veniva infatti chiamata “uisce beatha”, traducibile in acqua di vita, una bevanda molto simile al whisky che i Romani tradussero successivamente in aqua vitae, intendendo tutte le bevande distillate il cui scopo fosse quello terapeutico. L’odierna “acquavite” deriva proprio da questo modo di dire latino.
La distillazione è un processo noto all’essere umano da tempi antichissimi, praticata abilmente da Babilonesi ed Egizi, civiltà famose anche per i loro studi di alchimia, ambito nel quale questo procedimento è stato inventato.
Per produrre il whisky sono fondamentali tre ingredienti: l’acqua, i lieviti ed i cereali, ognuno apportatore di qualità organolettiche che messe insieme fanno la differenza tra un whisky ed un altro.
Il ruolo da protagonista però è interpretato dai cereali, e quelli utilizzati per la produzione del whisky sono principalmente tre: l’orzo, il mais e la segale, in alcuni casi distillati in purezza, mentre in altri vengono mescolati tra di loro (o con altri cereali) per ottenere varie tipologie di blend (chiamati Blended Whisky).
La Scozia, l’Irlanda ed il Giappone lo producono dall’orzo, gli Stati Uniti dal mais (con una piccola aggiunta di altri cereali) ed il Canada dalla segale (anche in questo caso con una piccola percentuale di altri cereali); i risultati sono sorprendentemente differenti.
Andiamo dunque a vedere nello specifico in cosa si differenziano le varie tipologie di whisky.
Il whisky scozzese
Non potevamo non partire da quello che -a buon merito – viene considerato il whisky per antonomasia, il whisky scozzese, ovvero lo Scotch Whisky.
Il Single Malt è sicuramente il più conosciuto e caratteristico tra gli Scotch Whisky, prodotto con il solo utilizzo di malto d’orzo, ed è sicuramente quello che più divide gli appassionati, a causa del suo particolare sentore “torbato”.
Questo particolare aroma viene assorbito dal chicco di orzo durante la tostatura, che avviene con la torba, un particolare carbone vegetale “giovane”, tipico delle terre scozzesi, la cui principale caratteristica è quella di bruciare provocando un odore molto intenso.
Molto importante per la produzione del Single Malt è quello che in gergo viene chiamato wood finish, ovvero un periodo minimo di tre anni dentro le botti di legno, anche se gli scozzesi preferiscono consumarlo mai prima dei sette anni di invecchiamento.
Il Blended Whisky è un’altra tipologia di Scotch Whisky, meno “austera” dei Single Malt ma sicuramente la più venduta al mondo.
I Blended Whisky sono il risultato di un sapiente mix di distillati provenienti da diverse distillerie, spesso prodotti utilizzando vari tipi di cereali, fermo restando la supremazia del malto d’orzo.
Il frutto di tale miscela è un whisky dalla maggior morbidezza al palato, più adatta al consumatore medio che non sempre apprezza i forti sentori torbati dei Single Malt.
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Il Whiskey Irlandese
Anche l’Irlanda recita una parte da protagonista nel mondo dei distillati, ed il Whiskey Irlandese, l’Irish Whiskey, vanta una storia non meno articolata di quello scozzese, ed in alcuni punti le due si sovrappongono curiosamente, in un misto tra storia e leggende.
Ciò che l’uomo divide, l’Irish Whiskey unisce; è infatti grazie al whiskey che i confini tra le due “irlande” scompaiono, e sotto il suo nome viene inteso il whiskey prodotto sull’isola, intesa geograficamente e non politicamente.
Le differenze con lo Scotch Whisky sono sostanzialmente legate alle lavorazioni dell’orzo, che spesso non prevedono la maltazione e né l’utilizzo della torba. Se da un lato quindi troviamo un prodotto con sentori meno caratteristici e caratterizzanti, dall’altro piace trova molti estimatori proprio per la sua morbidezza e rotondità al palato.
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Il whiskey americano
Le acqueviti statunitensi sono figlie dirette dei whisky europei e ci raccontano una storia che ai suoi inizi è vagabonda e movimentata, e successivamente stabilizzatasi nella sua attuale collocazione definitiva. Oggi infatti gli stati federati che vantano la più grande e famosa produzione sono quelli del Kentucky e del Tennessee.
Il whiskey americano ha una storia turbolenta, fatta di scontri, talvolta anche violenti come la “rivolta del whiskey” del XVIII secolo, e di migrazioni, anch’esse non sempre pacifiche.
Il whiskey statunitense più famoso è quello prodotto in Kentucky, noto come Bourbon.
Bourbon è il nome della contea, attraversata dal fiume Mississippi, in cui si stabilirono i primi distillatori, ma è anche la dicitura che questi apponevano sui barili che caricavano sulle navi da trasporto per certificarne l’origine.
Questa semplice ma importante scritta ne decretò fama e riconoscibilità fino ai giorni nostri.
Il Bourbon ed il Tennessee Whiskey hanno una caratteristica che li accomuna tra loro ed allo stesso tempo li differenzia dai distillati europei: il mais. Cereale autoctono che cresce spontaneamente, il mais venne trovato in abbondanza dai primi coloni irlandesi che si stabilirono in Virginia e Pennsylvania, diventando il componente principale dei whiskey americani, con l’aggiunta di segale e orzo, quest’ultimo in piccole percentuali utili solamente a stimolare la germinazione degli altri due.
Le botti di rovere rigorosamente nuove sono dove sia il Bourbon che il Tennessee Whiskey invecchiano, come da disciplinare, ma con la differenza che quest’ultimo prima di finire in botte deve essere filtrato passando attraverso vari strati di carbonella di legno di acero locale.
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Il Whisky Canadese
Il Canada è tra i grandi produttori di whisky a livello mondiale dal XVIII secolo, quando gli immigrati inglesi e scozzesi giunsero nei suoi territori ed iniziarono a distillare stabilendosi nelle regioni del Quebec e dell’Ontario.
Il clima rigido tipico del Canada poco si addice a cereali quali orzo o mais, pertanto il cereale preferito è la segale, più adatta ai climi freddi, da cui il whisky prende il nome: Rye Whisky (whisky di segale).
Nonostante la segale sia il cereale più utilizzato, non lo è mai in purezza, in quanto vengono usati regolarmente in maniera minore orzo, mais e grano, perlopiù importandoli dagli Stati Uniti.
Quelli canadesi sono dunque dei blended whisky, ottenuti con cereali vari (importati dagli Stati Uniti) ma sempre partendo da una base di segale; il risultato sono whisky un po’ più secchi, in stile scozzese anche se con le doverose distinzioni, prime fra tutte la mancanza del malto d’orzo e della torba.
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Il Whisky Giapponese
Il whisky del Sol Levante è quello che tra tutti ha la storia più recente, che narra di un ragazzo fondatore della prima distilleria giapponese e che negli anni ha saputo imporsi nel mondo entrando nel ristretto gruppo dei più prestigiosi.
Il whisky in Giappone nasce nel 1934, quando viene fondata Nikka, la prima distilleria progettata da un giovane giapponese, la cui passione per il whisky scozzese si sviluppa durante un’importante esperienza lavorativa vissuta proprio nelle distillerie della Scozia.
Questo suo background lo guida nella scelta dell’ubicazione della distilleria, caduta su un villaggio dalle caratteristiche pedoclimatiche simili alle Highland scozzesi, in cui inizia a produrre whisky seguendo pedissequamente le lavorazioni dello Scotch Whisky.
L’unica differenza che si concede è sull’utilizzo della torba, dal momento che non è reperibile in Giappone.
Saranno gli anni ’30 del Novecento a vedere la commercializzazione del primo whisky giapponese: il Nikka Whisky.
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Abbiamo da poco pubblicato una guida (in formato ebook) ai whisky del mondo, breve ma esaustiva, pensata per offrire a chiunque voglia approfondire questo tema la possibilità di conoscere gli aspetti storici, culturali e sociali del distillato più famoso del mondo.
Un viaggio alla scoperta delle sue origini, delle vicende che lo hanno visto protagonista, dei luoghi in cui viene prodotto, delle curiosità e degli aneddoti nascosti tra le sfumature del suo intrigante colore.
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Il piacere di un bicchiere di whisky non è necessariamente da vivere in solitaria, nonostante il suo essere da meditazione lo faccia pensare.
Condividerlo sarà un piacere che si somma ad un altro, quello che vi esporrà ad un parere diverso, costruito grazie ad esperienze che inevitabilmente portano a sentire aromi e sapori che magari non percepiamo.
Il whisky è anche questo, condivisione e apertura, perché se da una parte è bello farsi un’idea personale su quello che si sta bevendo, dall’altro lo è altrettanto sentirne una differente o perché no, contraria.
Potere del whisky.