VINI LOW E NO-ALCOL: LA NUOVA FRONTIERA DEL BERE CONSAPEVOLE

di Cristian
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Negli ultimi anni il mondo del vino sta vivendo una rivoluzione silenziosa ma profonda.

L’onda lunga del movimento “no-lo” (no alcohol – low alcohol) ha investito anche l’Italia, portando con sé nuove sfide, opportunità e interrogativi culturali. Non si tratta di mode passeggere, ma di un cambio di paradigma: i consumatori, soprattutto le nuove generazioni, chiedono vini più leggeri o privi di alcol, senza rinunciare al piacere del calice.

Un mercato in piena crescita

I numeri parlano chiaro: il segmento globale del vino no-lo vale oggi circa 2,4 miliardi di dollari, con previsioni di crescita fino a 3,3 miliardi entro il 2028. Il tasso di incremento annuo è intorno al +8% a valore, molto più rapido rispetto al vino tradizionale.

In Europa il comparto delle bevande dealcolate (birra e vino) muove 7,5 miliardi di euro, di cui oltre 300 milioni solo nei vini. Germania, Regno Unito e Stati Uniti guidano questa espansione, mentre l’Italia – come spesso accade – osserva con un certo ritardo. Eppure, anche qui il potenziale è notevole: oggi il vino no-lo copre appena lo 0,1% delle vendite, ma le proiezioni stimano una crescita fino a 15 milioni di dollari nel giro di pochi anni.

L’Italia si muove: i pionieri del ‘no-lo’

Seppure ancora marginale, anche il panorama italiano comincia a popolarsi di realtà interessanti:

  • Cantine Sgarzi (Emilia-Romagna) con la linea Zero SL Zero, dai bianchi agli spumanti.
  • Hofstätter (Alto Adige) con un Riesling Zero che punta sulla freschezza.
  • Prima Pavé (Friuli) che ha conquistato premi internazionali con i suoi spumanti 0,0%.
  • Ca’ da Roman (Veneto) e il suo Zeromax, leggero e fruttato.
  • Piccini (Toscana) con Chianti Slim (11%) e la linea Eleven, dedicata al pubblico giovane.
  • La Scolca (Piemonte) che propone Cortegaia a 9,5%, esempio virtuoso di low-alcol ottenuto da vendemmia anticipata.

A livello normativo, il decreto Lollobrigida del 2024 ha finalmente autorizzato in Italia l’uso della dicitura “vino dealcolizzato” (escluse le denominazioni DOC/DOCG), allineando il Paese agli standard europei.

Come si produce un vino dealcolizzato?

La dealcolizzazione non è un “trucco” da laboratorio, ma un processo tecnologico che interviene dopo la fermentazione. Il vino nasce come un vino normale, poi l’alcol viene rimosso con tecniche delicate che cercano di preservare aromi e struttura.

Le principali tecnologie sono tre:

  1. Distillazione sotto vuoto
    • Il vino viene riscaldato a basse temperature (30-35 °C) grazie alla pressione ridotta.
    • L’alcol evapora senza “cuocere” il vino.
    • Metodo tradizionale, ma rischia perdita di aromi.
  2. Osmosi inversa
    • Filtri a membrana che separano l’alcol e parte dell’acqua da composti aromatici e polifenoli.
    • Si reintegra acqua → vino senza alcol ma con buona parte dei profumi originali.
    • Tecnologia più delicata, costosa ma qualitativamente superiore.
  3. Cono rotante (Spinning Cone Column)
    • Vino fatto passare in colonne rotanti a bassa pressione.
    • Prima vengono estratti gli aromi (catturati e conservati), poi rimosso l’alcol, infine aromi reintrodotti.
    • Metodo più moderno e “gentile” → utilizzato da molti top player internazionali.

La sfida è proprio questa: mantenere identità sensoriale e corpo, dato che l’alcol è veicolo di profumi, morbidezza e persistenza. Non a caso i vini no-alcol vengono spesso percepiti come più semplici, meno profondi. Ma la ricerca tecnologica sta riducendo sempre di più questo gap.

Perché il trend cresce?

Quale futuro per il vino ‘no-lo’?

Il vino dealcolizzato non sostituirà certo il vino tradizionale, ma ne sarà un complemento. Più che un “ripiego” per chi non beve, deve diventare una scelta consapevole per chi vuole vivere l’esperienza del vino senza compromessi legati all’alcol.

La sfida per i produttori sarà educare il consumatore e investire nella qualità, così da superare l’idea di un prodotto “minore”. Se ben interpretato, il segmento no-lo potrà non solo ampliare il pubblico del vino, ma rafforzarne l’immagine come bevanda di cultura, convivialità e inclusione.

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