LE NUOVE (MA NEANCHE TANTO…) FRONTIERE DEL VINO: IL MAROCCO

di Cristian
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Quando si parla di vino e delle aree geografiche vocate alla viticoltura, raramente si pensa all’Africa.

Che sia per la religione predominante, l’Islam, che permea a fondo nelle tradizioni specialmente del Nord-Africa, o per una tradizione vitivinicola pressoché sconosciuta – sebbene antichissima – il vino africano non gode della stessa fama di cui godono, per esempio, i vini del Sud-America oggigiorno.

Quello che è certo, però, è che in questi ultimi anni il vino proveniente dall’Africa sta vivendo una seconda giovinezza. Ovviamente non tutti i Paesi del continente sono produttori di vino, ed i maggiori sono ubicati perlopiù nella parte settentrionale ed in quella al suo estremo opposto (leggi Paesi del Maghreb e Sudafrica).

La fascia a nord-ovest, quella toccata dalla catena montuosa dell’Atlante, corrisponde ai Paesi del Maghreb, ed uno di questi, il Marocco, è quello che vogliamo farvi conoscere oggi.

Il Marocco, i Fenici ed il vino

Il Marocco deve la sua tradizione vitivinicola ai Fenici, che per primi importarono la vitis vinifera qualche millennio fa. Volubilis, la città berbera poi occupata dai Romani, divenne il porto principale per il commercio, e tra le varie tipologie di merce che venivano imbarcate in direzione Roma vi era anche il vino marocchino. 

La zona che originariamente venne scelta per la viticoltura fu quella che oggi corrisponde ai dintorni delle città di Meknès e Fès, un’area che gode di un clima più dolce e temperato rispetto al resto del Paese, adatto per la produzione di vini di qualità.

Queste particolari condizioni sono dovute al fatto che questo è un territorio grosso modo equidistante dall’Oceano Atlantico e dal Mediterraneo e ai piedi dei Monti dell’Atlante, al di là dei quali si estende il Sahara. Caldo sì, dunque, ma mitigato dall’influenza del mare e della montagna, che crea i presupposti per una viticoltura a discrete altitudini, con i vigneti di Meknès che raggiungono i 700 m slm.

I Monti dell’Atlante

Lungo la strada tra Meknès e Marrakech che si arrampica sulle alture verso la parte occidentale dell’Atlante centrale – la più importante per la vitivinicoltura marocchina – si trova El Hajeb, la prima (e finora unica) denominazione d’origine controllata AOC “Coteaux de l’Atlas”.

Il vino in Marocco ha vissuto periodi di vera fama, come ai tempi dei Romani, a cui ne sono seguiti altri di anonimato se non decadenza, durante i quali la sua produzione ha subito sensibili rallentamenti dovuti alle restrizioni imposte dall’Islam in materia di consumo di alcool.

Il vino marocchino nel Novecento

Il secolo scorso è stato caratterizzato da alti e bassi in tutto ciò che riguarda il vino, dalla sua produzione alla commercializzazione nel mercato interno ed estero.

Tutto però ha inizio ancora prima, negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando i francesi spinti dalla volontà colonialista tipica di quei periodi intensificarono la loro presenza nel Paese. Erano quelli gli anni in cui la fillossera stava decimando le viti del continente europeo, e per ovviare a questo evento drammatico molti vignaioli francesi si trasferirono in Marocco

Qui infatti le alte temperature ed il tipo di terreno impedivano il proliferare del temutissimo insetto, e sin da subito vennero importate le varietà tipiche francesi, quali Grenache, Carignan, Cinsault e Alicante Bouschet; queste erano quelle che si pensava fossero le più adatte ad un ambiente pedoclimatico come quello marocchino.

La viticoltura ebbe quindi nuovamente un impulso verso una maggior produzione, anche se in molti casi i vini prodotti erano utilizzati per fortificare quelli prodotti in Francia, tramite operazioni al giorno d’oggi considerate pura eresia.

Il vino prodotto era ad ogni modo a completo appannaggio del mercato francese, che contribuì a mantenerlo in vita finché il Marocco ottenne l’indipendenza nel 1956. Quello fu l’anno in cui il sultano marocchino Hassan II, salito al potere, riportò in vigore le leggi coraniche sugli alcolici e ridusse in modo drastico la produzione di vino, preferendogli quella dell’uva da tavola. 

I terreni vitati vennero nazionalizzati ed i pochi produttori che si salvarono fu perché gli venne dato un permesso straordinario per continuare a produrre vino; si stava entrando in un periodo poco promettente per il vino, in cui molti produttori cambiarono lavoro ed altrettanti ettari vitati vennero estirpati.

Vennero concessi, per esempio, alcune parcelle di terreno nei pressi di Meknès a Brahim Zniber, che ben presto diventò il più grande produttore marocchino di vino, ancora oggi in attività.

Già dal 1964, Zniber fu responsabile, grazie alla sua cantina Les Celliers de Meknès Domaine Riad, della crescita della zona vitivinicola marocchina per eccellenza, quella di Meknès, impiantando vitigni come il Cabernet Sauvignon, il Merlot, il Syrah e lo Chardonnay, fino ad allora poco sfruttati nel Paese.

Oggi la cantina Les Celliers de Meknès Domaine Riad costituisce da sola l’85% della produzione dell’intero Paese.

Nei decenni successivi i produttori rimasti si sono impegnati in modo sempre maggiore per creare un movimento forte e capace di dire la sua anche in ambito internazionale, visto che il mercato ed il consumo locale era, e in un certo senso lo è ancora, sensibilmente osteggiato dal governo autore di tasse altissime per la vendita di vino entro i confini.

Sostanzialmente però la situazione era bloccata, ed i tanto sperati anni della ribalta sembravano più che altro una chimera.

La svolta contemporanea

Ma finalmente arrivano gli anni Novanta del Novecento, allorché il governo decide di invogliare gli investimenti delle aziende vitivinicole francesi concedendo loro terreni e vantaggi finanziari. Questa iniziativa porta ad una ristrutturazione ed ammodernamento delle attrezzature e delle tecniche viticole.

Oggi il Marocco produce circa 40 milioni di litri di vino all’anno provenienti da 49 mila ettari di vigneti, perlopiù situati nella zona di Meknès-Fès.

I vini marocchini possiedono una marcata tipicità caratterizzata da una “rudezza” e “vigorosità” che può spiazzare il palato europeo soprattutto, che non è abituato a confrontarsi con espressioni di questo tipo.

I vitigni sopra citati, vale a dire Grenache, Carignan, Cinsault e Alicante Bouschet, sono quelli che per primi hanno colonizzato i vigneti marocchini e sono quelli che effettivamente meglio hanno reagito alle condizioni per certi versi estreme del clima del Marocco.

Negli anni si è provato ad importare i più conosciuti Cabernet, Syrah e Merlot, ma i venti caldi che soprattutto in estate spirano dal deserto hanno fatto perlopiù naufragare questi tentativi, e ad oggi solo il 30% del vigneto marocchino è allevato con questi vitigni.

Grazie a questa nuova ventata il vino marocchino ha subito un impulso verso il rinnovamento e oggi alle fiere internazionali si assiste sempre più spesso alla presenza di stand dedicati al vino marocchino. Sebbene però l’export sia ancora materia ampiamente da migliorare, molte valenti cantine riescono a farsi degustare dai turisti che ogni anno popolano il Marocco, attratti dalle sue città e oggi anche dal suo vino.

In copertina: le rovine di Volubilis

FONTI

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