Piero Mastroberardino è uno dei personaggi più importanti ed influenti del mondo del vino italiano: Presidente dell’Istituto Grandi Marchi (che rappresenta 12 regioni italiane) e attuale proprietario dell’ Azienda Vinicola Mastroberardino, giunta alla decima generazione.
Abbiamo voluto intervistarlo perché è un uomo profondamente legato al suo territorio ed al vino che da questo viene prodotto; due aspetti fondamentali per creare dei vini unici ed apprezzati in tutto il mondo, a riprova del fatto che un prodotto di qualità non conosce confini.
Ecco la nostra intervista, buona lettura!
Il Nomade diVino: La storia della viticoltura campana risale ai Greci e Latini, che coltivavano la vite quasi duemila anni orsono. Molti secoli dopo – nel 1878 – in Campania nasceva l’azienda Mastroberardino, con l’intento pionieristico di far conoscere il vino campano al mondo quando il mondo non era globalizzato così come lo conosciamo oggi. Intenzioni ancora attuali, alimentate dalla volontà di difendere il territorio e le tradizioni minacciate proprio dalla globalizzazione. In che modo la sua azienda tiene legati storia, presente e futuro attraverso un percorso in cui i protagonisti sono la vigna e l’uomo?
Piero Mastroberardino: La storia della mia famiglia nel vino risale al periodo borbonico, alla metà del Settecento. Il 1878 è l’anno in cui il mio bisnonno, Angelo Mastroberardino, decide di avviare le esportazioni dei vini prima in Europa e poi nel continente americano.
Il legame tra passato, presente e futuro per chi opera come noi è condizione basilare: l’unico modo per fare un buon lavoro nel mondo dei vini di pregio è tener conto del cammino precedente, senza il quale è arduo proiettare un processo così complesso in un futuro di continui cambiamenti. Osservare la propria storia, degustare i propri vini interpretati in epoche antecedenti dai propri predecessori è una chiave per comprendere sé stessi, per avere una visione complessa e compiuta degli scenari possibili.
Le cose più importanti e innovative a cui sto lavorando oggi sul piano produttivo nascono dallo studio delle nostre radici. La proiezione futura richiede una rampa di lancio lunga…
Un territorio complicato, l’Irpinia, geograficamente situato a Sud ma con le caratteristiche pedoclimatiche tipiche della montagna. In questo contesto coltivate Aglianico, Fiano d’Avellino, Greco di Tufo, Falanghina riuscendo ad estrarre da ogni chicco d’uva il massimo in termini di caratteristiche organolettiche. Qual è il valore che questo territorio dà al suo vino, quali sono le caratteristiche che rendono unico ed inimitabile un vino che proviene dall’Irpinia?
Abbiamo in Irpinia una grande fortuna. La vocazione viticola di questa terra non è vicenda recente. Si pensi che un secolo fa, negli anni Venti del secolo scorso, l’Irpinia era la terza provincia italiana per uve e vini prodotti, in quantità, nonostante la sua conformazione territoriale prettamente montana. Dal secondo dopoguerra il rilancio della viticoltura è avvenuto privilegiando le zone più vocate, dunque oggi la provincia pesa meno in termini relativi sul piano quantitativo, ma rimane una zona di notevole reputazione sotto il profilo del pregio dei vini.
I suoli, le altitudini, la continuità nell’acclimatamento dei vitigni in questi territori (che è frutto della profonda, testarda convinzione delle generazioni che mi hanno preceduto nel valore delle varietà antiche) costituiscono il più grande ed esclusivo patrimonio che l’Irpinia può vantare. A noi il compito di continuare ad esserne interpreti, a meritare questo privilegio di portare nel mondo il vessillo dell’Irpinia del vino. Con orgoglio e rispetto.
Un progetto ambizioso, quello di coltivare la vite negli stessi luoghi dove gli antichi abitanti di Pompei la coltivavano prima dell’eruzione del 79 d.c.. Un progetto nato da suo papà Antonio che aveva visto nel reimpianto della vite a Pompei il modo per parlare al mondo della viticoltura campana. Villa dei Misteri è il frutto di questo progetto che tuttora portate avanti, un altro tassello a difesa della tutela delle tradizioni locali. Ci racconta questo progetto e le prospettive future legate ad esso?
Villa dei Misteri nasce da un’idea di mio padre, Antonio, al principio degli anni Settanta, ma per questioni normative si tramuta da idea in progetto solo negli anni Novanta, quando riusciamo a mettere a punto e stipulare una convenzione per la valorizzazione dell’area in antico adibita a vigneti all’interno delle mura della città archeologica di Pompei.
Il progetto prende l’avvio con la realizzazione, nel 1996, di un primo piccolo campo viticolo sperimentale, nel giardino della casa dell’oste Eusino, in cui vengono messe a confronto otto diverse varietà presenti in antico nell’area. Il passo immediatamente successivo è l’impianto di quattro nuove aree, tra cui quella del Foro Boario, tuttora il vigneto più esteso che abbiamo a Pompei. Qui la scelta cade su due varietà a bacca rossa, Piedirosso e Sciascinoso.
Nel 2001 la prima vendemmia, una piccola produzione che tuttavia riscuote attenzione dal mondo intero, non solo del vino.
Segue la realizzazione di un campo sperimentale in cui vengono messe a confronto tutte le più importanti forme di allevamento della vite dell’antichità.
Successivamente la Soprintendenza chiede che si proceda all’impianto di ulteriori superfici di antica viticoltura, nella misura di altri dieci appezzamenti. Qui la scelta cade in prevalenza sul vitigno Aglianico, nella forma ad alberello.
Complessivamente oggi dunque abbiamo impiantato quindici parcelle a vite.
Parallelamente alla parte agronomica, procede un programma di approfondimento tecnico-scientifico con un numero cospicuo di pubblicazioni internazionali, che racconta le varie fasi e i progressi del progetto.
Nel 2018 si sta mettendo in campo una ulteriore fase progettuale.
Vite e uomo, uomo e vite. Un binomio che risulta essere vincente oggigiorno così come nei tempi antichi. La natura detta le regole e se si vuole ottenere un vino eccezionale bisogna rispettarle, a costo di creare un prodotto che non segue le mode, ma anzi saldamente legato ad un territorio di cui ne diventa un fiero rappresentante. Rappresentatività di un territorio contro moda del momento. Anche se immaginiamo da che parte si schieri Mastroberardino, come si pone la vostra azienda e quali sono le sfide attuali alle quali non volete assolutamente rinunciare?
‘Moda del momento’ è un approccio a mio avviso incompatibile con una viticoltura di pregio. Il vino, anche nelle sue versioni più di rottura rispetto alle esperienze precedenti, in ogni caso necessita di un respiro ampio, di una visione prospettica. Per fare un esempio, il progetto che stiamo varando proprio in queste ore si chiama “Stilèma” e racchiude in un unicum lo studio dei tratti stilistici distintivi, tradotti in protocolli produttivi, della storia familiare dal dopoguerra ai giorni nostri, provando a porre in evidenza i benchmark per ciascuna delle tre grandi denominazioni. Così per il Fiano di Avellino si ripercorre la storia dei nostri grandi Fiano della fine degli anni Settanta, mentre per i Taurasi quelli della fine degli anni Sessanta, provando così a mostrare a noi stessi come nella storia del vino non ci sia un vecchio e un nuovo, come vini prodotti cinquant’anni orsono possono esprimere caratteri di straordinaria attualità. Questo dimostriamo a noi stessi ogni volta che stappiamo un Taurasi di sessant’anni o un Fiano di trenta. Ecco, credo che questo solo progetto sia sufficiente a comprendere come il vino non possa essere in alcun modo ricondotto alle logiche di un prodotto-moda.
La vigna come un’opera d’arte. Materia in movimento, colori che cambiano, un paesaggio mutevole nel corso dell’anno ma sempre lo stesso da molti anni. Siamo testimoni durante ogni stagione di una mutazione, la vita è presente ogni istante anche in quei periodi quando sembra non esserci. Come si inserisce, secondo lei, l’uomo in questo processo e quali sono i suoi compiti necessari per portare a termine questa opera d’arte?
L’uomo è la componente di creatività, di arte, di interpretazione, che contamina la perfezione della natura producendo l’opera. Senza la mente e il cuore dell’uomo, la natura da sola non saprebbe plasmare sé stessa discostandosi dal suo corso ideale. È qui che si colloca tutta la nostra responsabilità. L’interazione dell’uomo con la risorsa naturale può produrre arte o depauperare. A noi la scelta.
Avere l’opportunità di ascoltare parole così profonde è sicuramente un privilegio. Noi siamo felici di aver ospitato un esponente così importante del mondo vitivinicolo italiano, una persona che unisce alle parole i fatti, spinta dal desiderio di creare una conoscenza e una consapevolezza sempre maggiori intorno al vino di qualità italiano.
Grazie Piero Mastroberardino!