Feudi di Guagnano è per noi un’ “antica” conoscenza, quando nell’ambito di una ricerca sui vini vegani in Italia ci imbattemmo in una vera chicca: sono i produttori del primo vino ottenuto da uve Negroamaro completamente vegano, il Vegamaro (ne parliamo qui).
Un recente soggiorno in Puglia è stato l’occasione da non perdere per poter conoscere di persona questa realtà e, come per il Vegamaro, è stata un’esperienza molto interessante.
Come sta fortunatamente succedendo sempre più frequentemente nel Salento e più in generale in Puglia, molti imprenditori decidono di dedicarsi alla riscoperta dei terreni ed al rilancio di vini di qualità prodotti con le uve più rappresentative di un territorio col quale fondano oramai un binomio inscindibile: il Primitivo ed il Negroamaro
Ed è proprio con questo spirito che nel 2002 Gianvito, Franco e Carlo decidono di unire le forze e salvare dapprima i vigneti dei loro nonni, ed in seguito acquisirne molti altri. Operazione grazie alla quale molti vigneti che non venivano più accuditi, che sarebbero stati venduti per farne campi fotovoltaici, estirpati grazie ai fondi comunitari, oppure definitivamente abbandonati, ritrovano invece vita e, con le cure appropriate, riprendono a offrire quell’uva con la quale oggi Feudi di Guagnano produce i propri vini apprezzati in Italia ed all’estero.
Grazie alla disponibilità di Gianvito, abbiamo potuto constatare di persona la bontà e l’efficacia dei loro sforzi, effettuando un tour alla scoperta di quei vigneti strappati ad una cattiva sorte e che ora invece sono il fiore all’occhiello di questa terra.
La prima tappa è stata la vigna di Negroamaro utilizzato per il vino Nero di Velluto, costituita perlopiù da fitti alberelli impiantati nel 1935 i quali, non avendo lo schema ordinato proprio dei filari, ricordano le tipiche pennellate di un quadro impressionista.
Caratteristica di una parte di questa vigna è l’allevamento che in salentino viene chiamato razzuto: si prende un ramo di una vite (lu razzu, che in dialetto locale è il braccio), lo si piega verso il basso e lo si fa passare sotto il terreno, in modo da creare la pianta accanto e garantire così continuità e resa, anche nel caso di eventuali problemi nella vite “madre”. Da questo vigneto si produce un’uva che viene raccolta e selezionata manualmente per dare origine ad un numero limitato di bottiglie.
Siamo poi passati alle vigne poste nella contrada denominata “Camarda”. Qui viene allevato un clone di Negroamaro selezionato dai nonni dei proprietari che dà vita ad un grappolo più spargolo, cioè meno fitto, rispetto al tradizionale rendendolo meno attaccabile dalle muffe. Su questi terreni arrivava anticamente il mare, e lo si può constatare trovando qua e là i resti fossili delle creature che popolavano quelle acque.

Durante il nostro tour abbiamo riscontrato anche una notevole varietà di coltivazioni all’interno dei vigneti; varietà costituita da piante di fico e fico d’india, ulivi e legumi che, come ci ha spiegato Gianvito, originariamente garantiva il sostentamento delle famiglie dei contadini che vendevano invece l’uva per trarne un seppur minimo profitto.
Oggigiorno queste piante hanno perso il loro scopo originario, ma sono ugualmente importanti perché garantiscono un contributo fondamentale cedendo al terreno quelle sostanze nutritive che, alla fine, sono utili anche per la crescita sana delle viti.

Per ultimo, una nota degustativa di colore…rosa. Abbiamo assaggiato con piacere Rosarò, rosato di Feudi di Guagnano ottenuto da uve Negroamaro, il quale si presenta al colore rosa intenso ed al naso con note di frutta rossa, al palato una gradevole acidità e una giusta persistenza. Rosarò rappresenta al meglio il tentativo dei Feudi di riportare in auge questa tipologia di vino, che piano piano sta ritrovando il posto che le spetta, anche grazie al fatto che la Puglia ha una bella storia che merita di essere raccontata (e lo faremo!).