di Cristian

Benvenuti sulla pagina dedicata all’evento: “Degustazione del vino di Jerez, lo Sherry” al Royal Victoria Hotel di Pisa

LA REGIONE VITIVINICOLA DI JEREZ DE LA FRONTERA

La regione vitivinicola di Jerez, chiamata Marco de Jerez, si trova nel nord-ovest della provincia di Cadice, la più meridionale della penisola iberica. Adagiata sulla costa atlantica e incorniciata dai fiumi Guadalquivir e Guadalete, è una regione privilegiata, in cui si concentra l’essenza più pura del carattere della Baja Andalusia: la luce, il mare e un paesaggio di morbide colline bianche, in cui coltivazioni di grano, girasoli e vigneti si alternano per tingere con i loro colori i pendii delle colline.

A nord, l’imponente letto del fiume Guadalquivir e le sue paludi e, oltre, la straordinaria riserva naturale del Coto de Doñana. A sud, i vigneti si mescolano a saline e pinete. Nell’entroterra, le dolci colline diventano sempre più ripide, annunciando la sua vicinanza alle splendide montagne di Cadice. E a ovest, il mare. La costa atlantica, che da Sanlúcar a Chiclana permea con la sua influenza l’intero Marco de Jerez, allevia con le sue brezze il caldo delle lunghe giornate estive. Un litorale di ampie spiagge di sabbia bianca, dominato dall’antica città di Cadice, che contempla la regione dal mare stesso, all’altra estremità della sua baia.

Jerez de la Frontera è la città principale del Marco e capoluogo della regione vinicola a cui dà il nome. Adagiata su una delle tante colline che dominano l’ampia campagna di terra albariza, a cavallo tra le vicine montagne e le luminose città costiere, Jerez è una città fiorente e dinamica, in cui il vino condivide le luci della ribalta con altri segni distintivi secolari come l’arte del flamenco o il cavallo da allevamento. Una città moderna di oltre 200.000 abitanti, ma consapevole e orgogliosa di un’eredità secolare, in cui l’industria del vino ha svolto un ruolo essenziale, plasmando la città sia dal punto di vista urbanistico che culturale.

A pochi chilometri da Jerez, alla confluenza del fiume Guadalete con la vicina Baia di Cadice, si trova El Puerto de Santa María, città storica, vinicola e marina in parti uguali e meta turistica di prim’ordine, grazie all’eccezionale qualità delle sue spiagge e alla sua posizione privilegiata nel cuore della baia.

Più a nord, alla foce del fiume più emblematico dell’Andalusia, il Guadalquivir, e di fronte all’imponente Coto de Doñana, si trova l’altro vertice del mitico triangolo di Jerez: Sanlúcar de Barrameda. Città famosa in quanto luogo di origine dello Sherry chiamato Manzanilla, vino che, per il suo carattere marittimo, raggiunge la sua massima espressione in concomitanza con la straordinaria gastronomia locale.

LA STORIA DEL VINO DI JEREZ

La prima notizia del vino di Jerez ci viene fornita da Strabone, geografo greco del I secolo a.C., che nel suo libro Geografia (Libro III) scrisse che le viti di Jerez furono portate nella regione dai Fenici intorno al 1100 a.C. I siti archeologici di origine fenicia del Castillo de Doña Blanca, situato a 4 km. da Jerez e in cui sono stati scoperti diversi torchi per la produzione di vino, confermano che furono gli stessi fondatori dell’antica Gades (Cadice) a portare in queste zone l’arte di coltivare la vite e fare il vino, dalle lontane terre dell’odierno Libano.

Xera, nome dato dai Fenici alla regione dove oggi si trova Jerez, era una città di mercanti che producevano vini che furono poi distribuiti in tutto il Mediterraneo, soprattutto a Roma. Così, dalle sue origini più remote, il vino di Jerez acquisisce una delle sue caratteristiche più importanti e che ne ha contraddistinto nei secoli l’identità: quella di essere un “vino itinerante”. Greci e Cartaginesi hanno scritto anche pagine importanti nella storia della regione, che affonda le sue radici nelle profondità della cultura mediterranea e del vino.

Nell’anno 711 iniziò la dominazione araba in Spagna, che nel caso di Jerez sarebbe durata più di cinque secoli. Per tutto questo tempo, Jerez ha continuato ad essere un importante centro vinicolo, nonostante il divieto coranico sul consumo di bevande alcoliche. La produzione di uva passa, l’utilizzo di alcol per scopi diversi (profumi, unguenti…) e l’uso del vino per scopi medicinali fungevano in un certo modo da pretesti per il mantenimento della coltivazione della vite e la produzione del vino.

Nel 966 il Califfo Al-Haken II decretò l’estirpazione delle viti di Jerez per motivi religiosi; un ordine che venne però disatteso, in quanto i contadini di Jerez si ribellarono dicendo che le uve dei loro vigneti venivano utilizzate per produrre uva passa per alimentare le truppe che combattevano la Guerra Santa. Una giustificazione vera solo in parte, che però fu efficace, in quanto fece in modo che solo un terzo dei loro vigneti fosse estirpato.

Nel 1264, il monarca castigliano Alfonso X riconquistò Jerez, che divenne così città di confine – da qui il suo nome cristiano: Xeres de la Frontera – con il Sultanato di Granada, l’ultima roccaforte araba a cadere.

La città visse anni di aspre lotte, durante i quali venne creato un sistema di ricompense associato alla Reconquista, con la Corona che distribuiva specifiche unità di terra sulla base del prestigio sociale e del merito. Viti e cereali, colture obbligatorie per legge, divennero i perni economici e la base dell’alimentazione di un territorio a cui Alfonso X era molto affezionato e dove possedeva un proprio vigneto.

La tradizione vuole che uno dei suoi più importanti ufficiali militari, Fernán Ibáñez Palomino, abbia dato il suo nome – Palomino – al vitigno diventato poi un classico locale.

In questo periodo, e anche nel XII secolo, i vini di Jerez venivano esportati in Inghilterra, dove erano conosciuti con il nome arabo della città: Sherish. Tuttavia, il vino di Jerez divenne popolare in questo paese quando Henry I ha proposto un accordo di baratto per promuovere i prodotti nazionali: lana inglese per lo sherry. I vigneti di Jerez divennero così un’importante fonte di ricchezza per il regno, tanto che il re Enrico III di Castiglia vietò con Regio Decreto nel 1402 l’estirpazione anche di una sola vite. Arrivando addirittura a vietare l’impianto di arnie nelle immediate vicinanze dei vigneti nel caso per evitare che le api potessero danneggiare l’uva.

La richiesta di Jerez in questo periodo è alle stelle e gli inglesi decidono di impossessarsi del vino di Jerez anche in maniera non pacifica. Nel 1625 Lord Wimbledom tenta di nuovo un attacco a Cadice, ma senza successo. Questo fallimento portò probabilmente gli inglesi (e anche gli scozzesi e gli irlandesi) ad assicurarsi l’approvvigionamento di Jerez attraverso i consueti usi del commercio, stabilendo le proprie attività nel Marco: Fitz-Gerald, O’Neale, Gordon, Garvey o Mackenzie sono le famiglie inglesi, irlandesi o scozzesi che si sono stabilite nella zona durante il XVII e il XVIII secolo. Più tardi sarebbero arrivati ​​Wisdom, Warter, Williams, Humbert e Sandeman. Il loro status di cittadini britannici consente ad alcuni viticoltori di Jerez di fare pressione sul governo britannico per abbassare i diritti di accise, ottenendo nel 1825 una riduzione di due dollari al barile, con un conseguente aumento delle le vendite di Jerez che si sono quadruplicate tra il 1825 e il 1840.

LA PRODUZIONE

Lo Sherry è un vino fortificato che ha, con i suoi cugini Marsala e Porto, una matrice comune: gli inglesi.

Furono infatti proprio i britannici ad “inventare” questo caratteristico sistema della fortificazione, ovvero aggiungere distillato di alcool al vino, per permettere al liquido contenuto nei barili di legno di reggere le lunghe traversate per mare fino a giungere nei porti inglesi.

Dalle loro antiche origini al metodo di elaborazione unico, tutto nei vini Sherry è genuino e autentico. I vini prodotti nella regione di Jerez de la Frontera sono creati utilizzando un antico metodo di invecchiamento tramandato di generazione in generazione.

La caratteristica essenziale di questo processo del tutto unico, è noto come criaderas y solera. In virtù di questo sistema, il vino che viene imbottigliato viene estratto dalle botti (barrique) che generalmente si trovano al suolo, da cui il nome solera, in cui i vini più vecchi sono contenuti. La quantità prelevata è sostituita da una equivalente di vino più giovane del filare sopra, la prima criadera, e questo a sua volta è sostituito dalla stessa quantità del filare sopra quello, che contiene un vino ancora più giovane, e così via. Il risultato sono vini eccezionali che mantengono la stessa qualità, anno dopo anno.

LA VITICOLTURA

Il clima

Il clima prevalente della regione di Jerez è caldo come diretta conseguenza della sua bassa latitudine, essendo una delle regioni vinicole più meridionali d’Europa. Le estati nella regione sono secche e caratterizzate da temperature elevate, provocando così livelli altrettanto elevati di traspirazione, anche se la vicinanza dell’Oceano Atlantico svolge un ruolo importante nel mantenimento dei livelli di umidità e nella moderazione delle temperature, cosa più evidente di notte.

La primavera e l’estate, le stagioni che scandiscono il ciclo colturale della vite, sono caratterizzate da due venti prevalenti conosciuti come il Poniente (da ovest) e il Levante (da sud-est). Il primo è fresco e umido (i livelli di umidità possono raggiungere il novantacinque per cento), mentre il secondo è caldo e secco (con livelli di umidità intorno al trenta per cento). La temperatura media annuale è di 17,3ºC con inverni molto miti, durante i quali le temperature raramente scendono sotto lo zero, ed estati molto calde dove le temperature salgono spesso sopra i 40ºC. La regione gode di tanto sole, con una media molto elevata compresa tra le 3.000 e le 3.200 ore di luce solare effettiva.

Le precipitazioni sono più elevate di quanto si sia portati a credere, in media seicento litri per metro quadrato all’anno, cadendo solitamente in tardo autunno e in inverno. Salvo eccezioni, questa quantità d’acqua è sufficiente per la corretta evoluzione delle viti, integrata com’è dall’importantissima umidità notturna fornita dal vicino Oceano Atlantico.

Va notato, tuttavia, che il clima non è lo stesso per tutti i vigneti della regione. Ci sono marcate differenze climatiche tra le diverse sottozone che compongono l’area di coltivazione dello sherry conosciuta come Marco de Jerez.

Il terreno

Il suolo Albariza è il terreno bianco tipico delle dolci colline della regione di Jerez. Questo candore si riflette nell’etimo stesso della parola Albariza, le cui origini risiedono nella parola latina “albus”, che significa “bianco”.

L’Albariza è una roccia tenera formata da sedimenti tra i quali si trovano resti di farina fossile, di organismi appartenenti al tipo plancton siliceo ed altri di tipo scheletrico calcareo. Per comprendere il carattere salino di questo suolo dobbiamo tornare indietro di 60 milioni di anni, a un’epoca in cui tutta l’Andalusia era sommersa dall’acqua. L’attuale zona dei vigneti di Jerez era a quei tempi il mare di Tetide. Non è raro infatti trovare resti di fossili marini nei vigneti della regione di Jerez. Dopo lo scontro delle placche tettoniche africana ed europea il mare si è ritirato completamente e, una volta ritirate le acque, l’altezza media della regione di Jerez è stata fissata a 45 m sul livello del mare.

Da sottolineare anche la magnifica capacità di trattenere l’umidità di questo suolo albarizano, con 19.000 ettari di Albariza in provincia di cui 7.000 destinati alla viticoltura. È un terreno di grande porosità e leggerezza, qualità di notevole importanza per l’apparato radicale della vite e per l’accumulo di acqua sotto forma di umidità come farebbe una spugna, senza ristagni d’acqua o saturazione. L’Albariza ha un alto contenuto di calcare ed basso livello di materiale organico, una caratteristica associata a vini molto alcolici di grande qualità.

Successivamente i livelli superiori del suolo si induriscono sotto il calore dell’estate, impedendo così l’evapotraspirazione prodotta dagli alti livelli di luce solare della regione.

I VITIGNI

Il Regolamento del Consejo Regulador indica come idonei alla produzione di Sherry i seguenti vitigni: Palomino, Pedro Ximénez e Moscatel. Tutti e tre sono varietà a bacca bianca.

Il portainnesto

Le tre varietà sopra menzionate, tradizionalmente utilizzate in tutta la regione di Jerez, appartengono alla specie Vitis Vinifera. Tutte le varietà coltivate nel Marco di Jerez, dalla più pregiata Palomino, al Pedro Ximénez e Moscatel, sono coltivate originariamente sul proprio portainnesto.

Verso la fine dell’Ottocento, però, fece la sua prima apparizione a Jerez e in molte altre parti del mondo l’insetto distruttivo noto come fillossera, il peggior flagello della storia della viticoltura, che distrusse la stragrande maggioranza dei vigneti europei attaccando le radici della vite.

Dopo vari tentativi andati a vuoto, ci si rese conto che l’unica soluzione possibile era piantare varietà americane di portainnesto con radici resistenti alla fillossera e poi innestare su di esse le viti tradizionalmente coltivate nella zona, in modo tale che la pianta, da quel periodo in poi, sia sempre costituita da una parte sotterranea (portainnesto americano) e da una parte fuori terra, o ceppo, che produce il frutto. Le due parti sono unite in quello che è noto come punto di unione dell’innesto.

Il Palomino

Il Palomino è la più tradizionale di tutte le varietà ed è utilizzato qui da molti secoli.

Oggi è il vitigno leader indiscusso all’interno della regione di Jerez e, data la sua compatibilità con l’albariza, il clima locale e le tecniche sviluppate dai viticoltori, può essere giustamente considerato un elemento chiave nella produzione dei vini sherry unici.

Le gemme della sottovarietà Palomino Fino, la più diffusa in tutta la regione, germogliano nell’ultima quindicina di marzo e maturano all’inizio di settembre. Le rese sono dell’ordine degli 80 ettolitri per ettaro, registrando circa 11 gradi Baumé e bassa acidità. È ben adattato alla regione, essendo molto resistente a un’ampia varietà di parassiti se coltivato correttamente. L’eccellente qualità delle sue uve e la sua reattività in vigna lo rendono il preferito da enologi e viticoltori.

Pedro Ximénez

Questa è un’altra varietà molto tradizionale utilizzata in tutta la regione di Jerez, come del resto in altre parti dell’Andalusia.

È anche conosciuto con i nomi Alamis y Pedro Ximén. Il suo maggiore contenuto di zucchero (12,8º Baumé) e livelli di acidità più elevati producono vini dolci di grande qualità.

Queste uve sono generalmente sottoposte ad un processo di appassimento al sole prima di essere vinificate, con l’obiettivo di concentrare intensamente il contenuto zuccherino dell’uva. Il suo fogliame fine facilita il processo.

Moscatel

Varietà utilizzata nella regione di Jerez per la produzione dei vini omonimi. Il vino Moscatel prodotto nella regione va generalmente sotto il nome di “de Chipiona”. Altri nomi usati sono: Moscatel de Alejandría, Moscatel gordo, Moscatel de España, etc.

Il vitigno è originario dell’Africa, anche se oggi è coltivato in molte regioni viticole del mondo e ne parla già Columella, in epoca paleocristiana. Nella regione di Jerez il Moscatel dà vini dolci speciali che portano il suo nome, solitamente provenienti da uve appassite al sole di altissima qualità. I vitigni di questa varietà sono più adatti ai vigneti situati vicino al mare.

LA PRODUZIONE DELLO SHERRY

Le uve, una volta giunte ai torchi, ma prima di essere scaricate dal camion, vengono pesate dagli ispettori del Consejo Regulador per verificare che non superino i limiti di produzione fissati per ogni vigneto ogni anno.

Oltre alla pesatura della vendemmia, viene prelevato un campione rappresentativo dell’intero carico al fine di analizzare alcuni parametri riguardanti il grado di maturazione e salubrità delle uve.

L’uva viene poi generalmente scaricata in una tramoggia di ricevimento che porta l’uva alla prima unità operatrice, solitamente una pigiadiraspatura o una pigiadiraspatrice combinata.

Lo scopo del processo di pigiatura è quello di facilitare l’estrazione del mosto per effetto della pressione. Il processo di pigiatura rompe la buccia dell’uva, liberando una quantità di succo d’uva (mosto) derivato dalla polpa del frutto.

La diraspatura è una procedura facoltativa che può essere eseguita parzialmente o totalmente prima della pigiatura. Quando i raspi vengono diraspati rilasciano alcuni composti erbacei e tannini che hanno un effetto dannoso sulla qualità del vino.

La presenza di una certa quantità di raspi integri, tuttavia, può essere vantaggiosa dal punto di vista tecnico, poiché facilita la circolazione del mosto durante il processo di pressatura e drenaggio, dando maggiori rese di estrazione.

Terminato il processo di pigiatura e diraspatura, le vinacce ottenute vengono trasportate, insieme al mosto rilasciato, al sistema di estrazione dove viene esercitata una seconda pressione per ottenere altro mosto.

La quantità di pressione applicata è un fattore chiave del processo, in quanto durante la pressatura si ottengono diverse composizioni di mosto: quello denominato mosto “primera yema” (circa il 65% del volume totale), ottenuto con pressioni fino a 2 kg/cm2; il mosto “segunda yema” (circa 23%), ottenuto con una pressione fino a 4 kg/cm2 e, infine, quello detto “mosto prensa” che si ottiene applicando un pressione superiore a 6 kg/cm2.​

Mentre le particolari caratteristiche analitiche del primera yema devono renderlo idoneo all’invecchiamento biologico, il mosto segunda yema, la cui struttura deriva in maggior parte dai solidi, viene utilizzato per produrre vini più adatti all’invecchiamento ossidativo o fisico-chimico.

Il Disciplinare della Denominazione di Origine che regola le modalità di estrazione prevede che per la produzione dello Sherry possano essere utilizzati solo i mosti ottenuti da una resa massima di 70 litri per ogni 100 kg di uva. Il resto del mosto ottenuto da livelli di pressione più elevati può essere utilizzato per produrre altri vini non classificati, per la produzione di vino da distillazione o per ottenere altri sottoprodotti.

Il mosto appena estratto viene filtrato prima della fermentazione al fine di prevenire ossidazioni e contaminazioni batteriche, oltre che per migliorare la finezza aromatica del mosto una volta fermentato. Dopo la filtrazione il mosto limpido viene sottoposto ad un processo di correzione del pH mediante aggiunta di acido tartarico. Questo aiuta a prevenire la contaminazione batterica durante la fermentazione e ad ottenere vini sani, equilibrati e adatti all’invecchiamento.

Inizia la fermentazione

In termini generali, la fermentazione alcolica è un processo biochimico naturale mediante il quale lo zucchero contenuto nel succo d’uva – essenzialmente glucosio e fruttosio – viene trasformato in alcol. Questa trasformazione è possibile grazie all’azione di un agente di fermentazione: il lievito. Oltre all’alcol la trasformazione dello zucchero produce grandi quantità di anidride carbonica, generando calore che innalza la temperatura del mosto in fermentazione.

L’inizio della fermentazione viene normalmente innescato mediante le cosiddette “pies de cuba“: una volta che i mosti sono stati puliti e si trovano nelle vasche di fermentazione, al mosto limpido viene aggiunto del mosto già in piena fermentazione (i pies de cuba) in una proporzione che varia dal 2 al 10% del volume totale di liquido. Questo accelera l’inizio della fermentazione e allo stesso tempo offre l’opportunità di introdurre un ceppo di lievito precedentemente selezionato come agente di fermentazione. Sebbene l’operazione del pie de cuba venga talvolta effettuata utilizzando lieviti spontanei, sempre più aziende a Denominazione iscritte optano per l’utilizzo di lieviti indigeni selezionati per produrre vini sherry dalle migliori caratteristiche enologiche e sensoriali.

In termini generali, la fermentazione completa può essere suddivisa in due diverse fasi: una prima fase detta fermentazione tumultuosa e una seconda nota come fermentazione lenta. La durata della fermentazione tumultuosa varia in base alla composizione del mosto e alla temperatura alla quale viene condotta. Nella regione di Jerez questa operazione viene solitamente eseguita in enormi serbatoi di acciaio inox della capacità di 50.000 litri, nei quali è possibile mantenere la temperatura del mosto in fermentazione entro i limiti consigliati tra i 23º ed i 25º. All’interno di questo intervallo di temperatura i lieviti si sviluppano molto più comodamente, garantendo così la totale trasformazione di tutti gli zuccheri in alcol. Tuttavia, alcune aziende di sherry utilizzano ancora il tradizionale sistema di fermentazione in botti di rovere, con l’obiettivo di ottenere una vinificazione del mosto con caratteristiche specifiche.

Dopo circa sette giorni nel mosto rimane solo una piccolissima quantità di zucchero e inizia la seconda, lenta fermentazione che nelle settimane successive trasforma gli ultimi grammi di zucchero rimanenti in alcool, senza bisogno di refrigerazione.

Le temperature diventano sempre più miti con l’avanzare dell’autunno, che favorisce la lenta decantazione dei lieviti morti e di altri solidi in sospensione noti come fecce fini. Man mano che le temperature scendono e le fecce si depositano sul fondo dei serbatoi il mosto fermentato perde gradualmente la sua torbidità iniziale, diventando via via più pulito e trasparente.

Il vino base

Verso la fine dell’autunno il vino nuovo dell’annata – detto “vino base” – è pronto per la separazione e la rimozione delle fecce depositatesi sul fondo della vasca. Si ottiene così un vino bianco completamente secco, chiaro, delicato, leggermente fruttato e di bassa acidità che costituirà la base per la successiva produzione di Sherry Wines.

“Per la festa di Sant’Andrea, il mosto è ora Sherry”

(Sant’Andrea si celebra il 30 Novembre)

Il vino base è un vino giovane che nei mesi da gennaio a marzo viene consumato in grande quantità nelle osterie e nei bar di campagna di tutta la regione di Jerez e che viene chiamato semplicemente “mosto”, o mosto d’uva, nonostante la sua gradazione alcolica sia compresa tra l’11 e il 12% a seconda delle condizioni della vendemmia.

Una volta tolte le fecce fini si può osservare una caratteristica molto particolare del vino base: durante il processo di travaso inizia a formarsi sulla superficie del vino una pellicola di lievito, una sorta di crema che gradualmente si espande fino a ricoprire completamente tutta la superficie : questo è noto con il nome di flor.

La “Flor”

La flor del vino è indiscutibilmente l’elemento naturale più straordinario di tutti quelli che concorrono a produrre i caratteristici vini Sherry. Se i lieviti fermentativi scompaiono man mano che gli zuccheri si trasformano in alcol, nella Regione di Jerez esiste un altro ceppo di lieviti indigeni che continuano la loro attività anche quando tutti gli zuccheri fermentescibili presenti nel mosto sono esauriti. Nel corso dei secoli, e senza dubbio come conseguenza della selezione naturale, sono comparsi diversi ceppi di lieviti (sempre della famiglia dei saccharomyces) che hanno imparato a nutrirsi dell’alcol creato durante la fermentazione per mantenersi in vita.

Il velo di flor, un’indicazione chiave di vini Sherry invecchiati biologicamente.

Questi insoliti lieviti si formano sulla superficie libera del vino all’interno del tino dove, con l’aiuto dell’ossigeno dell’aria, sopravvivono metabolizzando parte dell’alcol e altri componenti contenuti nel il vino.

La riproduzione graduale di questi microrganismi produce una coltura di lieviti simile a una pellicola che ricopre l’intera superficie del vino, in modo tale da impedire il contatto diretto con l’aria. Il vino è così totalmente protetto dall’ossidazione, totalmente ricoperto da uno strato naturale di lieviti.

Questo strato non è inerte, ma è in costante interazione con il vino. Gli organismi viventi che compongono la flor, i lieviti, consumano stabilmente componenti specifici presenti nel vino, soprattutto alcol ma anche eventuali resti di zuccheri non trasformati, glicerina, ossigeno disciolto nel vino, ed anche un’altra serie di componenti, tra cui spiccano gli acetaldeidi. In termini generali, con la loro azione metabolica determinano cambiamenti significativi nei componenti contenuti nel vino e quindi nelle sue caratteristiche organolettiche finali.

Come tutti gli esseri viventi, i lieviti responsabili della formazione del velo di flor richiedono una serie di condizioni ambientali per il loro sviluppo. Particolarmente importanti sono i livelli di temperatura e umidità: il vino deve avere un grado alcolico non superiore a 15°, la temperatura deve rimanere costante fra i 18° e i 22°C, la necessaria superficie di contatto del vino con l’aria che in genere ottenuta riempiendo una botte da 600 litri con 500 litri di vino.

Il nome stesso “fiore” si riferisce proprio al fatto che il velo sembra “sbocciare”, acquisendo un aspetto particolarmente vigoroso, in primavera e in autunno, periodi dell’anno in cui le condizioni ambientali ideali di temperatura e umidità.

La flor ricopre la superficie del vino e ne impedisce l’ossidazione.

Anche la flor ha bisogno di una certa aerazione, poiché l’ossigeno è un elemento vitale per la sua esistenza. Pertanto, né le vasche in cui compare né le botti in cui si svilupperà in seguito possono essere sigillate ermeticamente, e deve essere sempre assicurata un’adeguata circolazione dell’aria in cantina.

Infine, l’esistenza della flor nel vino è possibile solo entro un certo intervallo di gradazione alcolica, che avrà conseguenze molto interessanti quando l’enologo prenderà le sue decisioni sul tipo di vino Jerez che vuole elaborare.

Il Venenciador

La figura del venenciador (o degustatore) è una delle più antiche, tradizionali e genuine del Marco de Jerez. Da quando il vino ha cominciato ad essere oggetto di compravendita, cioè da quando il vino ha cominciato ad essere elaborato ed apprezzato, è sempre stato necessario stabilirne la qualità ed il prezzo prelevandolo e degustandolo.

Il venenciador

Viene chiamato venenciador per via dello strumento che utilizza per degustare i vini, prelevandoli direttamente dalla botte: la venencia.

La venencia

LA FORTIFICAZIONE

Verso la fine di dicembre i nuovi vini – comunemente ancora chiamati “mosto” – sono già stati sottoposti a “deslio“, cioè sono stati separati dai sedimenti solidi formatisi dopo la fermentazione e sono pronti per la loro prima classificazione.

A seconda di molteplici fattori quali le particolari condizioni della vendemmia, l’origine dell’uva, la pressione applicata per l’ottenimento del mosto d’uva o le condizioni in cui si è sviluppata la fermentazione, le diverse partite di vino base presentano caratteristiche organolettiche e anche analitiche diverse.

I degustatori – i venenciadores – preleveranno campioni da ciascuno dei nuovi lotti di vino e li classificheranno in due grandi gruppi:

  • quei vini che presentano un particolare pallore e finezza, provenienti normalmente dalle frazioni di mosto ottenute senza pressione o con pressioni molto leggere, saranno destinati al successivo invecchiamento come fino o manzanilla, ed i tini saranno contrassegnati da una linea verticale inclinata (detto palo);
  • le altre partite di vino che presentano una struttura maggiore verranno utilizzate sin dall’inizio per ottenere vini profumati, segnando con un cerchio i depositi corrispondenti (“oloroso“).

Le decisioni dei venenciadores si basano spesso su analisi di laboratorio e, in larga misura, sono condizionate dal modo in cui è stata effettuata la vendemmia, dall’estrazione del mosto e dalla fermentazione dello stesso. Nulla, in ogni caso, sostituisce il giudizio degli esperti degustatori, che con il loro naso andranno a definire quale sia il futuro più adatto per ogni partita di vino, in base alle proprie caratteristiche.

Come è noto, una delle caratteristiche del vino di Jerez è quella di essere un vino fortificato o, nella terminologia delle cantine di Jerez, “encabezado“. In altre parole, si tratta di vini ai quali è stata aggiunta una certa quantità di alcol di vino, in modo da aumentare leggermente la gradazione alcolica finale.

È una pratica che trae origine dalla necessità, secoli fa, di stabilizzare vini che erano destinati al consumo in mercati molto lontani e che, quindi, dovevano essere “protetti” per poter effettuare lunghi viaggi. Naturalmente oggi il mantenimento della pratica tradizionale dell’encabezado ha una ragione enologica ben diversa.

I vini base, una volta classificati, vengono gradualmente alcolizzati, aggiungendo “metà e metà” (vino e alcol), fino al raggiungimento della gradazione alcolica desiderata. Ricordiamo che, dopo la fermentazione, il vino base raggiunge naturalmente una gradazione che oscilla solitamente tra 11º e 12,5º.

I vini classificati per il loro invecchiamento come fino e manzanilla sono diretti fino a raggiungere una gradazione alcolica totale di 15º; mentre quelli invece classificati per invecchiamento come “oloroso” sono diretti in modo che raggiungano almeno 17º di gradazione alcolica.

A cosa serve la fortificazione?

La fortificazione è lo strumento utilizzato dall’enologo per decidere il tipo di invecchiamento a cui saranno sottoposti i vini. A seconda della sua diversa gradazione alcolica finale, il vino evolverà all’interno delle botti con uno dei due sistemi di invecchiamento del vino Jerez.

Ponendo il vino fino a 15% vol., si mantiene un livello alcolico accettabile per i lieviti che formano il fiore, ma non tollerabile per altri microrganismi che potrebbero svilupparsi nel vino. Insomma, stiamo selezionando il tipo di attività biologica che vogliamo mantenere nel vino, che altro non è che quella sviluppata dai lieviti responsabili del velo fiorale. Il fiore continuerà a ricoprire la superficie del vino, prevenendone l’ossidazione e favorendo una serie di cambiamenti nella sua composizione; è ciò che conosciamo come invecchiamento biologico (“crianza biologica“)

Crianza Biologica

Sopra i 17% vol., invece, l’attività biologica diventa impossibile. Neppure la flor, particolarmente resistente a gradazioni alcoliche elevate, è in grado di continuare a vivere in queste circostanze.

Il vino perderà quindi il velo di flor e con esso la protezione che fornisce rispetto all’ossigeno. A diretto contatto con l’aria, il vino comincerà a subire un lento ma inesorabile processo di ossidazione, facilmente percepibile da un graduale imbrunimento del colore del vino; si tratta di invecchiamento ossidativo (“crianza oxidativa“), detto anche fisico-chimico.

Crianza Oxidativa

Entrambi i tipi di invecchiamento daranno origine a vini diversi, essendo questo uno dei fattori chiave per comprendere l’enorme diversità dei vini Sherry.

Sobretablas e la seconda classificazione

Dopo la fortificazione, i vini giovani sono ora pronti per uscire dai serbatoi e proseguire il loro percorso tra le botti di legno che costituiranno la loro unica dimora fino al momento dell’imbottigliamento.

Sebbene i vini classificati per invecchiamento ossidativo, i futuri “olorosos“, presentino una chiara vocazione fin dal primo momento, questo non accade necessariamente con i vini classificati per invecchiamento sotto il velo di flor, i finos ed i manzanillas.

Gli olorosos, che già nella prima classificazione mostravano ai degustatori una struttura e caratteristiche organolettiche definite, dopo essere stati avviati alla loro gradazione alcolica finale possono ora entrare a far parte del sistema di invecchiamento, il Criadera e Solera.

Questo periodo intermedio tra la prima classificazione e l’ingresso definitivo nei sistemi di invecchiamento è assolutamente necessario nel caso di vini diretti a 15º – quelli in cui si cerca di preservare la flor – e questa fase del processo prende il nome di “sobretablas“.

Il periodo di sobretablas è di enorme importanza, perché durante i suoi primi mesi di vita il vino ci mostrerà la sua vera vocazione, affrontando la fase definitiva di invecchiamento. Non dimentichiamo che i degustatori hanno fatto la prima classificazione quando il vino aveva solo pochi mesi. Dopo un periodo che può variare tra sei mesi e un anno, i venenciadores rianalizzeranno ciascuna delle botti, per effettuare la seconda classificazione. In questo caso, non solo il compito è molto più laborioso (dato che i lotti da classificare sono botti da 500 litri e non serbatoi fino a 50.000 litri), ma anche le opzioni a disposizione degli assaggiatori sono molto più ampie.

Solitamente, quelle botti in cui la flor è ancora presente con grande vitalità dopo questi primi mesi, proteggendo il vino dall’ossidazione e trasformando sottilmente le sue caratteristiche iniziali, sono contrassegnati con il classico simbolo della “palma”, ​​per indicare il grado di finezza che sta acquisendo il vino. Sono chiaramente vini destinati ad essere invecchiati sotto la flor, in cui il colore giallo pallido iniziale sarà stato mantenuto e addirittura aumentato e che già cominciano a manifestare le caratteristiche note acute del velo di flor.

In alcuni casi, però, nonostante il vino sia stato qualificato in prima istanza per la sua evoluzione attraverso l’invecchiamento biologico, dopo il periodo di “sobretablas” si nota che lo stato di flor sulla superficie del vino non è così vigoroso come sarebbe auspicabile. Può infatti presentare lacune significative o addirittura scomparire.

Queste botti in cui è ancora presente il fiore in esaurimento sono contrassegnate dal classico “palo cortado“, con cui il capomastro indica che si tratta di vini che, nonostante la loro grande finezza e l’apparente vocazione all’invecchiamento biologico, vanno a essere reindirizzati attraverso invecchiamento ossidativo. Si tratta di vini molto particolari, classificati come tali in base a criteri ben precisi per ogni cantina e che, dopo una fase di sovrastabilizzazione sotto il velo di flor, saliranno sopra i 17º per iniziare quello che sarà il loro definitivo invecchiamento a carattere ossidativo.

Il Palo Cortado

Infine, questo è anche il momento di identificare i vini che, per vari motivi, non hanno le caratteristiche richieste per le diverse tipologie di vino di Jerez. Questo può avvenire per un’elevata acidità volatile (nel qual caso serviranno a produrre l’aceto di Sherry) o per qualsiasi altro motivo che induca i degustatori a classificarle come “non adatte”.

Dopo l’esauriente vagliatura che questa seconda classificazione comporta, i vini sono finalmente pronti per alimentare le criaderas dei diversi sistemi di invecchiamento.

LE DIVERSITÀ NEI VARI TIPI DI SHERRY

La diversità è senza dubbio una delle caratteristiche identificative dello sherry: finos, olorosos, moscatels… vini diversi che ci regalano quello che sembra essere uno spettro di colori infinito, infinito come la straordinaria varietà dei loro profumi, sapori e consistenze che si combinano per comporre l’universo dei vini sherry appartenenti alla Denominazione di Origine.

E tutto questo da soli tre tipi di uva, tutte bianche; ma anche da un processo produttivo assolutamente genuino. Come conseguenza della sua lunga tradizione enologica, l’enologia di Jerez è una delle più avanzate al mondo. Indipendentemente dall’enorme importanza della materia prima -l’uva-, della sua origine e natura, il processo produttivo prevede una serie di scelte dell’enologo che “orienteranno” il destino del vino, dando vita alle diverse “famiglie” dei vini di Jerez; e all’interno di ognuno di essi, le diverse tipologie, definite dal colore, dai profumi, dai sapori e dalla struttura.

Ma cosa rende diversi i vini Sherry?

1. Il processo di vinificazione

La stragrande maggioranza delle uve utilizzate per produrre i vini di Jerez viene vinificata con procedimenti che prevedono la fermentazione totale dei mosti ottenuti dalla spremitura dell’uva fresca. In questo modo si ottengono vini totalmente secchi, cioè con quantità di zucchero residuo praticamente insignificanti (non trasformate in alcol). Si tratta generalmente di uve della varietà Palomino, che dopo il taglio vengono rapidamente trasportate alle presse dove, mediante una leggera pressatura, si ottiene un mosto pulito e chiaro. La fermentazione totale di questi mosti dà origine al “vino base”, un vino bianco totalmente secco, che è l’origine di tutti i vini “Generosos” e Manzanilla Sherry.

Tuttavia, la vinificazione delle varietà Pedro Ximénez e Moscatel ha importanti peculiarità. In questo caso l’obiettivo enologico è quello di produrre un vino con il più alto grado zuccherino possibile. Per questo motivo vengono scelte queste varietà -che raggiungono un grado di maturazione superiore al Palomino- ed è per questo che vengono solitamente sottoposte alla tecnica del “soleo“: per alcuni giorni i grappoli vengono fatti appassire al sole, provocando l’evaporazione dell’acqua contenuta nell’uva e il suo progressivo appassimento. Il mosto ottenuto dalla spremitura di queste uve appassite inizia il suo processo di fermentazione molto lentamente, a causa dell’altissima concentrazione di zuccheri. Questa fermentazione verrà fermata dall’enologo con l’aggiunta di alcol di vino, in modo tale che solo una piccola parte dello zucchero si trasformi in alcol, lasciando inalterato quasi tutto il resto dello zucchero.

2. I diversi tipi di Crianza

Un altro fondamentale fattore di differenziazione è il tipo di affinamento attraverso il quale i vini si sono evoluti all’interno delle botti di legno. Quei vini che sono stati esclusivamente sottoposti ad invecchiamento biologico, protetti dal contatto diretto con l’aria dal velo naturale del fiore, conserveranno il loro pallore iniziale e la loro struttura leggera ed eterea, oltre ad acquisire una serie di note aromatiche e gustative peculiari, frutto dell’influenza dei lieviti che compongono il velo.

Dal canto loro, i vini maturati per invecchiamento ossidativo o fisico-chimico, a diretto contatto con l’ossigeno dell’aria, acquisiranno progressivamente toni più scuri, incorporando aromi complessi e sapori caratteristici che permangono a lungo al palato grazie ad una struttura ogni volta più intensa. La decisione dell’enologo di condurre i vini a 15,5º di alcol o sopra i 17º, determinerà se mantenere o meno il velo di flor sul vino e, quindi, il tipo di invecchiamento e le caratteristiche organolettiche che acquisirai nel corso gli anni.

L’INVECCHIAMENTO

L’invecchiamento è senza dubbio la fase definitiva nella produzione dei vini Sherry; il più lungo dal punto di vista temporale e in cui si delineano le caratteristiche organolettiche che daranno origine all’ampia tipologia dei vini Sherry.

Nella zona di Jerez si sviluppano due tipologie di affinamento: l’invecchiamento inteso come affinamento ed evoluzione del vino in botti di legno, sottoposto alla lenta evoluzione fisico-chimica in base alle condizioni del suo ambiente, che generalmente chiamiamo “invecchiamento” o “invecchiamento ossidativo “, e il cosiddetto “invecchiamento biologico” sotto un velo di flor, in cui il vino evolve in modo più dinamico, guidato dall’attività di un velo biologico formato sulla sua superficie da lieviti specifici tipici della zona.

La botte, il contenitore perfetto

La natura e la capacità dei contenitori utilizzati per produrre Sherry si sono evolute nel corso della sua lunga storia. Inizialmente e per più di duemila anni era costituito da recipienti in ceramica: anfore e giare. È nel Medioevo però che le spedizioni di vino da Jerez mostrano i grandi vantaggi dell’utilizzo della botte di legno come contenitore, utilizzandolo di conseguenza anche per l’invecchiamento. Questo cambiamento nella natura del contenitore rappresenterà una pietra miliare nello sviluppo del vino nella zona, poiché ha contribuito a modificarne sostanzialmente la costituzione e le proprietà sensoriali, dando origine all’attuale tipologia Jerez.

Oggigiorno, sebbene botti di vario tipo siano ancora in uso in molte bodegas, il tipo preferito e più ampiamente utilizzato è la botte di rovere americano da 600 litri. Questo tipo di legno è preferito a qualsiasi altro per il contributo specifico che apporta allo sherry, ed è inoltre tradizionale: è stato utilizzato fin dai primi scambi commerciali con le Americhe, da cui la Spagna importava legno e verso cui esportava vino.

Le botti di solito non vengono riempite fino all’orlo: nel caso di botti utilizzate per l’invecchiamento del vino sotto la flor si riempiono fino a 500 litri, lasciando uno spazio equivalente a quello di “due pugni” d’aria. Ciò consente di creare una superficie su cui può svilupparsi la flor e fornisce un rapporto superficie/volume sufficiente affinché l’influenza di questa sul vino sia ideale.

La botte in legno costituisce un contenitore che non è completamente stagno né inerte, poiché il legno è permeabile all’ossigeno e assorbe anche l’acqua del vino che traspira nell’ambiente della cantina. Questa traspirazione provoca una perdita di volume del vino in botte, tanto più intensa quanto più basso è il livello di umidità in cantina. La perdita dovuta a questo effetto è chiamata “restringimento” ed è dell’ordine del 3-4% annuo del volume totale di vino immagazzinato. Ma questa perdita è fondamentalmente costituita dall’acqua del vino, che produce una continua concentrazione degli altri componenti, effetto che si nota dopo lunghi anni di invecchiamento in un aumento della gradazione alcolica in quei vini che svolgono questa attività attraverso l’invecchiamento senza velo di flor.

Il sistema Criadera e Solera

Il tradizionale sistema di invecchiamento dei vini di Jerez si chiama “Sistema de Criaderas y Solera“.

Si tratta di un sistema dinamico, mediante il quale vengono miscelati metodicamente vini con diversi gradi di invecchiamento, al fine di perpetuare determinate caratteristiche nel vino finalmente commercializzato, che sono il risultato di tutte le vendemmie.

Il corretto sviluppo di questo metodo di invecchiamento richiede la precisa disposizione dei vini in cantina, a seconda dei loro diversi gradi di invecchiamento, che avviene nelle cosiddette “criaderas”. Pertanto, ogni sistema soleras è composto da più criaderas composte da un certo numero di botti. Il livello che contiene il vino più antico è a livello del pavimento (il termine ‘solera’ deriva dalla parola spagnola per pavimento – suelo). I livelli posti al di sopra di questo, contenenti vino progressivamente più giovane quanto più sono lontani dal pavimento, sono detti criaderas e numerati in base alla loro vicinanza per età al grado solera (il più vicino è la 1ª criadera; il successivo , la 2ª criadera e così via).

La solera con il più alto grado di invecchiamento fornisce il vino destinato al consumo. Periodicamente viene estratta una certa porzione del vino contenuto in ciascuna delle botti che compongono la solera ​​producendo in esse un parziale vuoto. Questa quantità prelevata dalla solera si rimpiazza con il vino del livello superiore nell’invecchiamento, cioè con il vino di 1° criadera. Il vuoto parziale così originatosi nella 1ª criadera viene reintegrato con il vino proveniente dalla 2ª criadera e così via fino al raggiungimento della scala più giovane, che a sua volta si completa con il vino del sistema sobretablas. L’operazione di riempimento del vuoto creato da una bilancia è detta “rocio”.

Questo modo di operare nell’invecchiamento dei vini rende la solera una miscela complessa per il numero di annate che la compongono.

Le movimentazioni del vino nella solera, dette anche “travasi”, devono essere eseguite con grande cura e richiedono utensili speciali e una tecnica attenta e tradizionale. Il personale specializzato in queste mansioni di cantina si chiama “trasegadores“. Da un lato l’omogeneizzazione di tutto il vino contenuto nella botte deve essere ottenuta tramite irrorazione e, dall’altro, non alterando il velo di flor che ricopre la superficie del vino invecchiato biologicamente o i fini depositi che si accumulano sul fondo della botte nel corso degli anni e sono chiamati “cabezuelas”. Gli intervalli tra le operazioni e la proporzione di vino estratto sono rigidamente determinati in base alle caratteristiche del vino, poiché sono grandezze che determinano i tempi di invecchiamento.

Il “trasferimento” del vino nel sistema criaderas e solera richiede una tecnica attenta e artigianale.

Il sistema solera conferisce una dinamica molto particolare all’invecchiamento, influenzando la natura del vino in un modo davvero unico: mantiene le caratteristiche del vino eliminando le oscillazioni che avvengono tra le diverse vendemmie.

Inoltre, il sistema solera favorisce notevolmente l’invecchiamento biologico sotto un velo di flor, poiché durante questo invecchiamento i vini sono sottoposti ad un’intensa e continua azione metabolica dei lieviti. Il mantenimento di questa coltura richiede l’apporto di micronutrienti essenziali, che si ottiene aggiungendo piccole frazioni di vini di annate giovani. Attraverso successive irrorazioni o repliche, piccoli contributi di vini giovani vengono inviati alle scale più vecchie. Con ciò si ottiene un rinnovamento del contenuto di composti necessari per mantenere molto attivo l’invecchiamento biologico sotto velo fiorale, che potrebbe essere diminuito se questo apporto nutritivo non venisse integrato.

Le Bodegas di Jerez de la Frontera

I complessi processi che consentono l’invecchiamento e l’affinamento dei vini Sherry richiedono precise condizioni ambientali, non sempre disponibili in un clima come quello del Marco de Jerez. Con un caldo carattere meridionale, ma fortemente influenzato dall’Oceano Atlantico, il clima della zona determina importanti sbalzi di temperatura, con variazioni del livello di umidità a seconda dei venti prevalenti. Ciò ha costretto i viticoltori di Jerez ad adattare le condizioni architettoniche delle cantine, per alleviare i fattori negativi del tempo e sfruttare quelli positivi.

Se contempliamo le cantine del Marco de Jerez, possiamo concludere che sono costruzioni molto belle dal punto di vista estetico e spesso imponenti nelle loro dimensioni. Ma se le analizziamo anche in base alle esigenze di invecchiamento degli Sherry Wines, ne dedurremo che sono ugualmente estremamente funzionali.

Sia l’orientamento dell’impianto, sia le caratteristiche costruttive della facciata e del tetto della cantina, diventano un filtro che respinge o cattura verso l’interno gli elementi climatici esterni per l’invecchiamento del vino. Si evitano sbalzi di temperatura interna grazie all’inerzia termica delle pareti e alla loro permeabilità all’umidità, potendo così calibrare la stabilità delle costanti igrotermiche giorno/notte. Le cantine sono costruite in luoghi strategici di facile circolazione per le dolci correnti d’aria da sud e per i venti di ponente provenienti dall’Atlantico, soprattutto le brezze notturne cariche di umidità, indispensabili per lo sviluppo dei lieviti.

La pianta rettangolare delle cantine è solitamente adattata all’asse nord-ovest-sudest, che consente il libero ingresso di umidità in cantina, chiudendo i venti negativi di nord-est e levante, che sono secchi e caldi. Inoltre, questo orientamento della cantina consente il minimo di ore di luce solare sulle pareti.

Le cantine di Jerez sono edifici insolitamente alti, che raggiungono fino a 15 metri di altezza nel loro arco centrale. Lo spazio interno forma così un grande volume d’aria la cui funzione è quella di fornire al lievito flor l’ossigeno necessario per il suo sviluppo all’interno della botte. Inoltre, l’ampio spazio in cantina funge da camera isolante, regolando temperatura e umidità. L’alta quota consente la ventilazione indotta dalla differenza di temperatura quando non soffia il vento dell’Atlantico. Il calore tende a salire e ad accumularsi nella parte superiore della cantina, pertanto, aprendo alte brecce nelle pareti est e ovest, si crea una corrente dinamica verticale e orizzontale che sposta all’esterno l’aria calda accumulata.

In estate, la facciata sud di una cantina è riparata dal sole da schermi di vegetazione sotto forma di alberi o pergolati nelle strade che la costeggiano. Questi fungono da ombrelloni naturali, assorbono le radiazioni del sole e forniscono tettoie perforate che lasciano passare le dolci brezze che si fanno strada nella cantina e mantengono le condizioni igrometriche ai livelli corretti. In inverno, quando le foglie di queste tettoie caduche cadono e lasciano le pareti scoperte, le grandi distese di facciata imbiancata attirano i raggi del sole, immagazzinando il calore e trasmettendolo durante la notte all’interno della cantina.

Le finestre sono generalmente poste in alto nel terzo superiore delle pareti. Sono di forma piccola, rettangolare o quadrata e disposte secondo ritmi simmetrici e ripetuti. Gli archi che sostengono la struttura del tetto sono progettati per far entrare le brezze e far circolare l’aria che arriva perpendicolarmente all’asse longitudinale della navata. L’altezza alla quale sono poste le finestre, e le persiane con cui sono coperte durante il giorno, creano una luce diffusa, diagonale, che rimane coerente nonostante la mutevole posizione del sole rispetto alle pareti dell’edificio. Oltre a controllare la qualità della luce, le persiane e le grate talvolta poste nelle aperture di ventilazione filtrano l’aria, impedendo l’ingresso di polvere o insetti indesiderati.

WILLIAMS & HUMBERT

WILLIAMS & HUMBERT

Situata all’interno della zona conosciuta come il Marco de Jerez, venne fondata dagli inglesi Alexander Williams e Arthur Humbert, che intuirono le potenzialità del vino di Jerez (vedi nostro articolo sul vino di Jerez) e nel 1877 fondarono la cantina (bodega in spagnolo) Williams&Humbert. Questo è un periodo d’oro per Jerez, durante il quale gli inglesi soprattutto vi si trasferirono dalla terra natia con l’intenzione di fare vino da commerciare poi in Inghilterra, visto il grande successo riscontrato in patria.

I vigneti

Añina e Carrascal sono i pagos, ovvero le zone vocate alla viticoltura, dove si trovano i 250 ettari di vigneto coltivati da Bodegas Williams & Humbert. Questi due pagos sono sia storici che emblematici nella regione di Jerez e dove si trovano i vigneti di proprietà Las Conchas e Dos Mercedes.

Ognuno di questi pagos possiede le proprie caratteristiche determinate dalla sua posizione geografica: Pago Carrascal all’interno, a nord-est, e Pago Añina a ovest, più vicino all’Oceano Atlantico. Con l’intento di identificare le particolari caratteristiche di questi due pagos, Williams & Humbert vinificano separatamente parte delle uve di ciascuno durante la vendemmia

La bottaia

In quella che è una cantina maestosa– 180 mila metri quadrati di cui 60 mila dedicati alla bottaia – trovano dimora circa 50 mila botti da 500 e 600 ettolitri dove il Jerez può riposare in santa pace coccolato dall’esperta mano dell’enologa e venenciadora Paola Medina.

La venenciadora Paola Medina

Una bottaia, quindi, da guinness dei primati e che ha vinto anche il Premio Nazionale di Architettura. Studiata negli anni ‘70, è stata realizzata con tecniche costruttive che per quegli anni erano vere e proprie innovazioni, come per esempio il soffitto a forma di “ombrello rovesciato”, utile per raccogliere e convogliare l’acqua piovana in speciali vasche sotterranee che vengono utilizzate per umidificare l’ambiente dove stazionano le botti durante le calde giornate estive.

Il Palomino qui trova il suo regno, anche se deve spartire il palco non con una, ma con un gruppo di persone che lavora incessantemente per fare in modo che l’opera finale sia di tutto rispetto. Gruppo guidato dalla famiglia Medina, che è entrata nel Consiglio di Amministrazione negli anni ‘60 e dal 2013 è diventata il proprietario unico. Una famiglia jerezana di viticoltori, appassionati ed amanti della loro terra, come nella migliore tradizione.

– [ SITO UFFICIALE WILLIAMS&HUMBERT ] –

I VINI DI QUESTA SERA

Pando – Tipologia di Sherry: Fino

Generalità. Il Fino è un vino bianco secco, ottenuto da uve Palomino. Come il Manzanilla, il Fino viene invecchiato sotto lo strato di lieviti che compongono il velo di flor. L’invecchiamento, in botti di rovere americano attraverso il sistema tradizionale di criaderas e solera, viene effettuato in cantine che devono rispettare rigide condizioni microclimatiche di umidità e temperatura, affinché la flor possa essere mantenuto per tutto l’invecchiamento.

Dagli aromi raffinati e complessi, il fino ha colore pallido, gusto secco e forte ed è considerato il più tipico stile di Jerez. Anch’esso dipende dallo sviluppo della flor. Gli Sherry fino sono più robusti e potenti del Manzanilla.

PANDO. Fino, Palomino 100%. Secco e gradevolissimo, che lascia in bocca la sensazione di freschezza. Crianza interamente trascorsa sotto la flor, che lascia profumi di lievito e di panificazione. Il nome deriva dalla compagnia navale inglese P&O che qui si era stabilita e Pando è il modo con cui i locali la chiamavano, P-and-O. Alc. 15%

Note di degustazione. Vino di un colore giallo paglierino brillante a oro pallido. Con profumi acuti e delicati, con leggeri ricordi di mandorla e note di pasta di pane fresco ed erbe aromatiche di campo. Al palato è molto secco, delicato e leggero. Nel retrogusto ritornano i ricordi di mandorla, lasciando una piacevole sensazione di freschezza.

Don Zoilo 12 anni – Tipologia di Sherry: Amontillado

Generalità. L’Amontillado è un vino molto particolare, in quanto abbina l’invecchiamento sotto il velo di flor, tipico di Fino e Manzanilla, con un periodo successivo in cui la flor scompare e il vino è esposto all’ossidazione. Realizzato con uve palomino, questa fusione di invecchiamento rende gli Amontillados vini estremamente complessi e interessanti.

L’Amontillado è uno Sherry fino fatto maturare in botte. Dopo essere stato prelevato dalla solera, viene fortificato e posto in un barile dove maturerà senza la protezione della flor, ossia in modo ossidativo. In questo modo il suo colore diventa più scuro e si esaltano gli aromi tostati e di nocciola.

DON ZOILO AMONTILLADO. Lunga crianza biologica e breve ossidativa. Alc. 19%

Note di degustazione. Palomino 100%. È un vino dall’elegante colore ambrato topazio. Il suo profumo è sottile e delicato, con una base eterea ammorbidita da aromi di frutta a guscio (nocciole) e verdure che ricordano le erbe aromatiche e il tabacco nero.

Presenta un ingresso gradevole al palato e un’acidità equilibrata; il suo sviluppo è complesso e suggestivo, evidenziando un finale secco e un retrogusto prolungato in cui ritornano le note di frutta secca e legno di quercia.

Don Zoilo 12 anni – Tipologia di Sherry: Palo Cortado

Generalità. La produzione di Palo Cortado è l’esempio tangibile della necessità per l’enologo di Jerez di identificare chiaramente la vera vocazione di ogni tipo di vino e di agire di conseguenza. L’origine del Palo Cortado è molto antica.

Il Palo Cortado è uno stile di Sherry meno comune ed è spesso considerato intermedio fra i fino e gli oloroso. Per produrlo si parte da un Amontillado secco che dopo avere maturato a lungo sviluppa le qualità tipiche degli oloroso, cioè maggiore struttura, cremosità e concentrazione. Il Palo Cortado ricorda quindi al naso l’Amontillado mentre al gusto si avvicina più agli Oloroso.

DON ZOILO PALO CORTADO. Palomino 100%. Poca crianza biologica e molto lunga quella ossidativa. Alc. 19,5%

Note di degustazione. Un vino di grande complessità che unisce la delicatezza aromatica dell’Amontillado e la corpulenza al palato dell’Oloroso.

Dal colore bruno al mogano, il suo profumo presenta una grande varietà di sfumature, combinando armoniosamente le note caratteristiche degli amontillados con altri agrumi, che ricordano l’arancia amara, e lattici, come il burro fermentato. Al palato è rotondo, profondo e voluminoso allo stesso tempo, presentando le note aromatiche nel retrogusto con un’espressione morbida e delicata, in un finale piacevole e persistente.

Canasta – Tipologia di Sherry: Cream o Oloroso Dulce

Generalità. Lo Sherry Cream è un vino amabile semi-dolce che si ottiene esclusivamente dall’invecchiamento ossidativo e prevede la miscelazione dell’Oloroso con una quantità di Pedro Ximénez; è localmente noto come Oloroso Dulce.

L’intensità di questo vino e il suo contenuto di dolcezza fanno sì che possa essere servito “on the rocks”, ovvero con ghiaccio, e continuare comunque a manifestare tutta la sua potenza aromatica e persistenza in bocca. Servito in un bicchiere basso, lo Sherry Cream con ghiaccio e una fetta d’arancia è un fantastico aperitivo, che unisce la complessità dello sherry a deliziose note agrumate.

CANASTA. Palomino e Pedro Ximenez. Blend che viene formato prima di entrare nel sistema di Criadera e Solera. Alc. 19,5%

Note di degustazione. Ha un colore da marrone a mogano scuro e un aspetto untuoso. Dal naso fragrante marcato, unisce note dolci come quelle della frutta secca a note tostate, come il torrone e il caramello.

In bocca è dolce, di consistenza vellutata, con una dolcezza equilibrata, un palato medio seducente ed elegante e un retrogusto lungo in cui la sensazione di dolcezza si unisce alle note tipiche dell’oloroso.

Grazie per aver partecipato!

da

Cristian e Irene